Con Il marchese di Ruvolito di Martoglio, il teatro ”Brancati”

ha inaugurato la stagione teatrale 2016 – 2017

Carlo Majorana Gravina – foto Dino Stornello

 

Se l’antitesi a nobile è ignobile (nulla di infamante), non va censurato più di tanto il desiderio borghese di abbandonare la classe originaria e accedere alla seconda; ma un conto è ottenerlo con merito, altro con espediente: un principe normanno con elegante sarcasmo mi diceva di “un archivista bravissimo, pensa che ha fatto l’albero genealogico della famiglia … e …” facendo il nome di due famiglie che ostentavano blasoni immeritati. Su questa umana debolezza si appunta la penna di Martoglio ne Il marchese di Ruvolito: “vecchio aristocratico in miseria fra parvenus smaniosi di nobiltà, che sbarca il lunario inventando radici illustri a famiglie plebee. Per lo spasmodico desiderio del blasone donna Prazzita Timurata, “ex rivendugliola” zeppa di denari (fatti con l’olio ed il formaggio) con “tutte le spocchie delle nuove arricchite”, ha deciso di dare in sposa la figlia Immacolata ad un cacciatore di dote, il “baronello di Mezzomondello”, cinico, spiantato, borioso. Sarà il Marchese di Ruvolito a sventare gli interessati progetti del baronello adottando il giovane Adolfo Giesi, anch’egli pieno di soldi (fatti col sapone e la potassa) ma privo di blasoni, consentendogli così, divenuto Marchese di Gebbiagrande, di sposare Immacolata, di cui è innamorato corrisposto, con l’entusiastico consenso finalmente di donna Prazzita, divenuta madre nientemeno che di una marchesa “di curuna cch’ ’i gigghia, non con le palle!”. Dal canto suo il Marchese di Ruvolito otterrà di restare usufruttuario nel palazzo avito, riscattato dal figlio adottivo, dal quale rischiava di essere sfrattato”. Così sintetizza la trama Sarah Zappulla Muscarà osservando “Vario nei temi e nei motivi, ricco di colore, vitalistico e brioso, il teatro di Nino Martoglio raggiunge gli esiti più felici quando rappresenta gli aspetti peculiari e autentici della sua terra mediante personaggi  che celano le intime ferite dietro una maschera ironica, canzonatoria: civitoti chiassosi, poveri ingegnosi e ciurmatori, ingenui o scaltri scampoli di umanità bonaria, ilari e bizzarre figure, aristocratici e politici decaduti e spiantati, creature sordamente disperate. Un microcosmo volutamente semplice ed elementare, popolato di archetipi collettivi, buoni e cattivi, furbi e sciocchi, dove signorotti squattrinati e popolani trafurelli vivono di espedienti per sbarcare il lunario, dispensando agli ingenui e agli illusi gli uni titoli nobiliari e radici illustri, gli altri consigli legali e numeri del lotto”.

La commedia fu rappresentata per la prima volta al “Teatro Nazionale” di Roma il 23 dicembre 1920 dalla “Compagnia Angelo Musco”, interpreti Angelo Musco (il Marchese di Ruvolito) e Rosina Anselmi (donna Prazzita): l’ultima del belpassese che scomparirà il 15 settembre 1921, precipitando nella tromba dell’ascensore in costruzione dell’Ospedale Vittorio Emanuele di Catania.

Con Il marchese di Ruvolito il “Brancati” di Catania ha inaugurato la nuova stagione. Nei ruoli accanto all’ applauditissimo Tuccio Musumeci (il marchese):  Rossana Bonafede (donna Prazzita), Turi Giordano (don Neddu Grisi), Maria Rita Sgarlato (donna ‘Nzula), Riccardo Maria Tarci (Jabicu Timurata),  Roberta Andronico (‘Mmaculata), Fabio Costanzo (Tanu Conti), Antonio Castro (barone di  Mezzomondello), Donatella Liotta (signora Mangialardo), Enrico Manna (Mangialardo), Savì Manna (notaio/ufficiale giudiziario), Claudio Musumeci (baronello di Mezzomondello), Luigi Nicotra ((servitore), Marina Puglisi (Teresina), Raniela Ragonese (Marianna), Giovanni Strano (Adolfo). Regia Giuseppe Romani, costumi Mela e Rosa Rinaldi, scene Susanna Messina, movimenti coreografici Silvana Lo Giudice.

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