Il penultimo titolo della stagione lirica del “Bellini” di Catania

regala al pubblico uno spettacolo raro e prezioso

Con Sakùntala di Franco Alfano il teatro di Catania segnala e fa conoscere un grande musicista europeo del Novecento

Carlo Majorana Gravina

 

Bella e interessante la proposta del teatro “Bellini” di Catania di portare in scena Sakùntala di Franco Alfano. L’autore, delle musiche e del libretto, è uno dei più importanti e interessanti del ‘900 musicale italiano ed europeo, offuscato dal poderoso finale da lui composto per dare una chiusura alla Turandot di Giacomo Puccini “che, per il dominio del contrappunto e della combinazione tematica, pone Alfano al di sopra dello stesso Puccini” (Paolo Isotta). Pur se il calendario stagionale catanese ha messo in diretta sequenza e successione le due opere, non è stato per nulla un gesto di giustizia distributiva: la scelta sapiente del direttore artistico Francesco Nicolosi ha dato a Catania, prima in Sicilia, il privilegio di ascoltare l’opera principale di un grande musicista, meritevole di maggiore considerazione nei repertori.

Il fascino dell’esotico ha sempre sollecitato e ispirato menti feraci, penne da foglio e pentagramma, evolvendo secondo mode e nuove filosofie. Le ultramillenarie fiabe orientali ed  estremorientali sono state terreno di studio e speculazione per l’atmosfera magica, essoterica ed esoterica, loro propria (Il gioco delle perle di vetro di Hermann Hesse, la croce svastica simbolo spirituale indiano).

Alfano, musicista di formazione cosmopolita, inclinò, nel suo percorso di formazione, verismo, impressionismo, scuola tedesca e francese. Affascinato, come a suo tempo Goethe, dalla leggenda sanscrita di Sakùntala, tra le prime opere della letteratura indiana conosciute in occidente, nel 1921 ne trasse un’opera di successo (rielaborata nel 1954) per la quale Ricordi e Toscanini gli commissionarono il completamento di Turandot.

In Sakùntala, Alfano lega voce e strumenti con strumentazione scintillante e raffinata, trasponendo il sinfonismo lirico tedesco in cifra mediterranea, alleggerendolo per ottenere un’atmosfera magica sognante. La storia ha tutti gli ingredienti della fiaba: una fanciulla di origini sopranaturali, che vive in un eremo, incontra fortuitamente un giovane sovrano; i due si innamorano, ma poi si perdono di vista; per un maleficio la fanciulla, che porta in grembo il frutto del suo amore fugace, non viene riconosciuta dall’amato; umiliata e offesa, mentre muove per tornare all’eremo, dà alla luce poi, per un prodigio, sale in cielo; il giovane sovrano realizza di aver incontrato a corte l’amata e dispone per le ricerche, ma gli eremiti che la scortavano gli comunicano che non può riaverla e gli consegnano la creatura generata dal loro amore. Una fiaba carica di simboli: la vita innocente e semplice, la magia del contatto con la bellezza e la natura, l’intenso valore dell’Amore e la perfidia che suscita in chi non lo comprende, la natura umana e il prevalere del bene, la fede e la speranza di sorte migliore affidate al futuro.

Alfano, per rendere in lirica la cifra spirituale e sentimentale della tradizione indiana, ha fuso coro e orchestra in un tessuto intenso e coeso; le due compagini dell’ente, con capacità e professionalità, hanno secondato l’esperta d’orchestra del croato Nikša Bareza e le cure del maestro del coro Ross Craigmile, con le quali l’autore prepara e sottolinea i momenti dinamici della storia, mentre i ruoli li fissano e spiegano. Dato il giusto merito a coro e orchestra, va riconosciuto l’impegno non facile, peraltro bene svolto, del cast: Silvia Dalla Benetta (Sakùntala), Nelya Kravchenko (Anùsuya, amica di Sakùntala), Kamelia Kader (Priyàmvada, altra amica), Alessandro Vargetto (Harita, eremita/Durvasas, un asceta), Salvatore D’Agata (giovane eremita), Enrique Ferrer (il re), Paolo La Delfa (suo scudiero), Francesco Palmieri (Kanva, capo degli eremiti), Filippo Micale (una guardia), Salvatore Fresta (un pescatore). Tutti si sono mossi sulla scena di Massimo Gaparon, che con la regia firma anche i costumi, disegnata con studiata ingenuità per rendere felicemente il clima fiabesco della rappresentazione, sottolineato anche dai movimenti coreografici.

L’opera in tre atti, tratta dal dramma “Abhijñanasakuntalam” di Kalidasa, e l’efficace esecuzione, hanno sorpreso il pubblico del “Bellini” che, al termine, ha applaudito convintamente un’opera nuova, moderna, bene ideata e realizzata che restituisce il giusto merito a un importante autore italiano del Novecento musicale classico.

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