Teatro Brancati: Oh, Dio mio!

Al teatro “Brancati” di Catania la Bernardi spedisce in analisi il Padre Eterno interpretato con ironia e duttilità dal magistrale Pattavina

I due attori regalano ai loro personaggi un tono naturale e ricco di sfumature tra humor yiddish e raffinata comicità

Lella Battiato

 

Spettacolo surreale, intelligente e meta-cognitivo, culturale, che sa toccare le radici popolari ancestrali del cuore, tra un Dio smarrito e un uomo altrettanto smarrito. Interno borghese, dipinti colorati sulle pareti rosse. Ella, il cui nome in ebraico significa quercia, psicologa affermata laica (Deborah Bernardi) attende un misterioso paziente, il signor D., bisognoso di un consulto urgente. Ella, nonostante il successo professionale, vive una vita familiare dolorosa: abbandonata dal marito dal quale ha avuto un figlio autistico (Giovanna Mangiù), adesso adolescente con gravi difficoltà di comunicazione ,tanto da non essere riuscito a pronunciare la parola “mamma”: il ragazzo ha un’unica passione suona il violoncello, solo con la sua musica, riesce a esprimere il suo stato d’animo. Ma ecco che entra in scena l’elegante e raffinato paziente, interpretato magistralmente da Pippo Pattavina, e dopo un dialogo dal tono surreale si svelerà la sua vera identità “io sono colui che sono e ho 5.773 anni”: è Dio, è depresso ed è alla ricerca disperata di una seduta psicoanalitica che possa aiutarlo. Un Dio molto umano, spiritosamente yiddish, alla ricerca disperata del senso della vita, una commedia farsesca dai tratti ironici per un atto unico aderente al testo arguto di Anat Gov, una delle più apprezzate drammaturghe contemporanee israeliane, “Oh Dio mio!” affronta con humor un improbabile quanto insperato dialogo di cui ciascuno aspira in cuor suo ad essere protagonista. Il testo scava, tra il serio e il faceto, situazioni umane e problemi esistenziali, rivisita la Bibbia, il mistero della creazione, l’uomo e il suo comportamento e si accende un confronta tra un Dio deluso dalle amicizie e l’uomo che si sente schiacciato da un Dio crudele e minaccioso (la visione del Dio ebraico dell’Antico Testamento). Si alternano a questa rilettura tragico-comica concetti profondi con sottile umorismo, “quell’idiota di Adamo” concepito dall’Entità Suprema per essere il suo migliore amico e aiutarlo a  gestire la terra, si mise invece a fare giochetti d’amore con Eva; Caino che uccide Abele per caso, non mancano battute di comicità e il povero Giobbe motivo della débacle divina. Et voila un Dio in preda a una crisi depressiva con la paura dell’abbandono e la voglia insana di spazzare via il cosmo con il secondo diluvio universale. La psiche del Padre Eterno di professione “artista” è andata in frantumi e diventa un po’ come l’uomo, con tutte le sue debolezze e i suoi tradimenti ed Ella (l’uomo) diventa il mezzo di elevazione dell’Onnipotente. Ci sono momenti di grande comicità e di satira, Pippo Pattavina nei panni di Humphrey Bogart che intona As Time Goes by. Un Dio simpatico, pentito amaramente di aver creato l’uomo, ma anche presuntuoso come recita il primo comandamento “Non avrai altro Dio al di fuori di me” alla fine;  Dio non è morto come ha scritto Marx, ma è malato da ormai 2.000 anni e ha abbandonato la sua sublime creazione al libero arbitrio degli uomini. Cosa lo potrà guarire? Solo l’amore che lo ha spinto a creare un tale ambaradan chiamato mondo. La  pièce è ravvivata da folgoranti e sagaci battute (da Dio identificato come vittima dell’abbandono alla mancanza di una madre ebrea ingombrante cui attribuire ogni colpa com’è d’obbligo in psicoanalisi. Si procede verso un finale dal sapore liberatorio e consolatorio, ma anche ottimista, sono gli uomini adesso a soffrire del delirio di onnipotenza poiché sono a Sua immagine e somiglianza, e a Lui resta solo di supportarli nella loro imperfezione. Adesso che lui si riconosce cattivo, è guarito, adesso siamo noi a soffrire della malattia del potere e dobbiamo liberarci. Un’edizione originale e divertente con una regia di Ezio Donato ben ritmata e incalzante e gli attori regalano ai loro personaggi un tono naturale ma autorevole, accarezzato da tante sfumature scambiandosi sguardi serrati e dialoghi scoppiettanti. Un Pattavina che gigioneggia nel ruolo magnificamente con un duplice effetto: onnipotente, ma depresso e dunque fragile, e su questa fragilità insospettabile e tutta umana che si gioca la seduta psicoanalitica. Alla fine convinti applausi per tutti. Scene di Susanna Messina, costumi Sorelle Rinaldi, musiche Carlo Minuta, luci Sergio Noè.

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