“I fratelli Ficicchia” al Brancati di Catania

“I fratelli Ficicchia” apre la stagione 2017-18 del teatro “Vitaliano Brancati” di Catania

Carlo Majorana Gravina

 

Chissà quanti, divertiti per le istrioniche gag di Tuccio Musumeci, mentre assistevano all’arguta, seppur poco visitata, commedia “I fratelli Ficicchia” di Luigi Capuana, avranno pensato ai tanti casi propri o di persone di loro conoscenza.

I tribunali, allora e adesso, traboccano di liti ereditarie conseguenti a sperequazioni, vere o presunte, dei beni trasmessi da genitori, parenti o amici defunti: “la roba”, come si chiamarono in Sicilia i beni patrimoniali sin dall’esordio del Verismo, con vago tono dispregiativo.

Fondatori e profeti di questa corrente letteraria e teatrale, Capuana e Verga la propugnano e praticano con cifra e generi diversi. “Il Verga è sopra tutto un osservatore, il Capuana invece è un analizzatore, uno psicologo profondo” (Vittorio Pica, La domenica del Fracassa, Roma 12 luglio 1885).

Non tutta da sottoscrivere l’opinione del Pica, soprattutto per quanto scrive di seguito appresso, serve a cogliere il tono bonario e benevolo della commedia del Capuana nella quale la soluzione della questione tra i due fratelli eredi consiste nel “salto di qualità” della contesa che viene trasferita dai ragionamenti sulla “roba” al piano più elevato del sentimento e della ritrovata concordia ad opera dei due giovani, innamorati e idealisti, che mettono i rispettivi genitori di fronte ad una scelta, inducendoli a soccombere e cedere.

Scritta nel 1912, la commedia “I fratelli Ficicchia” esprime quella drammaturgia “alla quale affiderà gli esiti più maturi sulla riflessione critica, dall’elaborazione del verismo suo superamento con l’approdo ad un sensibilità di tipo novecentesco”.

La messinscena del “Brancati” è stata affidata alla regia di Giuseppe Romani, scene Susanna Messina, costumi Sorelle Rinaldi. Interpreti: Tuccio Musumeci (‘Nzulu Trombetta), Margherita Mignemi (Anna, sua moglie), Margherita Papisca (Saridda, sua figlia), Riccardo Maria Tarci (Japucu Ficicchia), Giovanni Strano (Pippinu, suo figlio), Miko Magistro (Giovanni Ficicchia), Eleonora Sicurella (Lisa, sua figlia), Francesco Fichera (Minicu), Gianmarco Arcadipane (Ispettore forestale), Maria Iuvara (donna Peppa), Enzo Tringale (Medico).

Tutti bravi. Su tutti: Margherita Mignemi modulando sapientemente il suo personaggio, Miko Magistro e Riccardo Maria Tarci sviluppano la storia personale e familiare in scena indossando due maschere molto caratteristiche per temperamento e argomento, Eleonora Sicurella che recita e canta con efficace riultato, Tuccio Musumeci posto a mediare tra prese di posizione e intrecci sentimentali. 

Accurate e appropriate le sottolineature musicali dei momenti di maggior pathos, elaborate da Matteo Musumeci, talora veri e propri interludi posti favorire i cambi di scena, o atti ad accompagnare il retrostante e sottostante della vicenda, il non detto determinante che muove, evolve e risolve tutto.

 

 

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