Riparte nel 2018 la stagione del teatro “Brancati” di Catania con “I civitoti in pretura” di Nino Martoglio

Riparte nel 2018 la stagione del teatro “Brancati” di Catania con “I civitoti in pretura” di Nino Martoglio

Come rileggere e riproporre un “classico” fra i più rappresentati

Carlo Majorana Gravina

 

Il “Brancati” saluta il nuovo anno con una nuova edizione de “I civitoti in pretura”, protagonista Guia Jelo, affidata alle cure del regista Turi Giordano. L’opera, piccolo gioiello di comicità e ottimo esercizio per un ritorno alle radici attraverso il recupero del dialetto, è il secondo testo teatrale della ferace vena creativa di Nino Martoglio che di opere teatrali ne scrisse ben 29, e chissà quante altre ancora, se la sua vita non fosse finita bruscamente e misteriosamente nel 1921.

La vena ironica verista dell’autore mette a fuoco le criticità ad intendersi tra italiani provenienti da diverse regioni che, nel caso di una vicenda giudiziaria, interseca con altri “linguaggi”.   

La civitota Cicca Stònchiti (Guia Jelo) è chiamata a testimoniare davanti al pretore Testafina (Plinio Milazzo)  le circostanze di una rissa con accoltellamento che vede imputato il “malandrino” locale Masillara (Fabio Costanzo). In aula, pubblico ministero Bomba (Gianmarco Arcadipane), l’avvocato difensore Pappalucerna (Enzo  Tringale), l’approssimativo cancelliere (Enrico Manna) e l’usciere Scarabeo (Salvo Scuderi) mostrano scarso interesse alla vicenda: non è faccenda de La Legge.

Stònchiti, temendo le ritorsioni di Masillara e non volendo ostacolare La Legge, approfitta della difficoltà del “continentale” Testafina a capire il suo linguaggio per parlare di tutto tranne che del fatto di sangue. Alla sua deposizione segue la testimonianza del carabiniere messer Rapa (Riccardo Maria Tarci) che ingarbuglia ancora di più la situazione.

Il regista Giordano ha condito la vicenda con urla, screzi, “sciarre” e “vanniate” provenienti dalle lavandaie Minica ‘a ciolla (Raniela Ragonese), Cuncetta  a tòtina, sua figlia (Noemi  Giambirtone), Viulanti Sparapaulo (Margherita Papisca), Tidda ‘Ntrichiti ‘Ntrichiti (Elisabetta Alma) dipingendo un microcosmo popolare che vive e si regola secondo un codice non scritto, mal rapportabile alla verità processuale che il pretore cerca invano di raggiungere: un affresco di vita popolare fine ‘800 che, con sana leggerezza, suscita qualche riflessione importante sulla società, i suoi mali, la giustizia…. Vero protagonista del testo teatrale è il dialetto di Martoglio – contemporaneo di James Joyce nato, come lui, in una grande isola (Irlanda), inventori entrambe di linguaggi suggestivi ed emotivi -, lingua originalissima, che grazie a storpiature, errori di pronuncia, doppi sensi ed equivoci conferisce una comicità dirompente a discussioni su argomenti seri.

Guia Jelo, già altre volte Stònchiti, profonde generosamente energie e accenti istrionici straordinari, affinando sempre più un ruolo che chiede grande padronanza della scena, adottando/inventando un linguaggio sui generis: non è importante capire quello che dice Guia (anzi, è inutile); lei crea con bravura un’atmosfera e imprime dinamismo contagioso a tutti i personaggi in scena verso un gioco che mette tutto in burla, fa perdere il controllo e ridimensiona a reato bagatellaro una vicenda di indubbia pericolosità sociale.

Nelle note di regia, Giordano fa presente “mettere in scena I civitoti non è facile …. Preso spunto da un suggerimento di Guia Jelo, ho ripreso le tre stesure di Martoglio e assemblato un copione, reinserendo battute e personaggi che col tempo erano stati eliminati. Gag e riferimenti metteranno alla berlina l’attuale stato in cui si trovano le aule di giustizia italiane. Sul palco, lo stesso Martoglio (Riccardo Maria Tarci), narra come si svolse la prima messinscena”.

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