OLTRE LA VIOLENZA. TESTIMONIANZA SULL’IMPORTANZA DELLE RISORSE SOCIALI

OLTRE LA VIOLENZA.

TESTIMONIANZA SULL’IMPORTANZA DELLE RISORSE SOCIALI

Angela Ganci*

 

La violenza, in tutte le sue forme, fisiche e psicologiche, lascia dei segni indelebili nella psiche e nel corpo, corrodendo, talora con un processo lento, invisibile e pervasivo, l’autostima, la progettualità futura, la fiducia nelle relazioni umane.

La letteratura scientifica, nel delineare le sopracitate conseguenze negative dell’abuso e del maltrattamento, individua però alcuni fattori protettivi, costituiti dalle risorse personali, familiari e sociali, in grado di promuovere la resilienza, ovvero la capacità di riemergere da traumi, umiliazioni e soprusi, più forti di prima.

Ecco che le risorse sociali, l’affetto, il sentirsi protetti, il sapere di potere chiedere aiuto, divengono fattori salienti nell’ammortizzare l’impatto traumatico dell’abuso, della denigrazione e della campagna di isolamento sociale che un aggressore mette in atto nei confronti della vittima per spingerla a dubitare della propria validità in quanto persona, soddisfacendo il proprio bisogno di potere, assoggettamento.

Isolamento sociale, derisione, esclusione dalla famiglia e dalla società, lotta impari per determinare la supremazia mentale e il potere personale: meccanismi psicologici comuni negli abusanti, da riconoscere per non rimanerne invischiati e che, attraverso le testimonianze dei sopravvissuti agli abusi è possibile individuare e debellare.

P., oggi quarantenne, vittima, per venti lunghi anni, della violenza psicologica del compagno, conosce il suo futuro marito quando aveva appena diciassette anni e lui venticinque, per lei si trattava della prima esperienza amorosa.

“Fin da subito mia sorella si è messa contro di noi – racconta D., familiare della vittima – chiedendo di uscire in orari notturni che i miei genitori non condividevano, spinta da lui, che la istigava a mettersi contro di noi, colpevoli di trattarla come una bambina. La situazione è precipitata quando mio padre ha intimato con decisione di troncare ogni rapporto, anche perché lui spesso si ubriacava e aggrediva verbalmente mia sorella e mia madre, senza farsi troppi problemi. Per tutta risposta l’ultimatum O andiamo a vivere insieme o non mi vedi più, perché tuo padre mi aggredisce”.

O con me o contro di me: un atteggiamento mentale comune che squalifica la vittima, instillandole sensi di colpa e confondendola, e favorendo il suo isolamento, quale modalità finalizzata a indebolirne la volontà e la capacità di discernimento.

“Da questo momento, con la fuga da casa,e in seguito con il matrimonio, la situazione peggiora sempre di più, aggressioni verbali, minacce, bugie, mia sorella credeva in lui in maniera incredibile, pendeva dalle sue labbra, ed era impossibile aprirle gli occhi sulle sue menzogne. Dopo cinque anni di matrimonio mia sorella inizia ad assumere antidepressivi, ormai segregata in casa, triste e arrabbiata, sotto l’influenza di lui che le vietava di cercare un qualunque lavoro, di praticare un hobby o semplicemente di andare a fare la spesa. Io non la riconoscevo più: quando abitava con noi era gioiosa, spensierata, quando era con lui si mostrava burbera, arrogante, nervosa, ossessiva, ma non riconosceva nel marito la causa del suo stato. Ecco però, quasi inspiegabile, la svolta avviene con la morte improvvisa di mio fratello, quando lei, furiosa e decisa, lo butta fuori di casa, sorda alle sue minacce di lesioni alla famiglia, forse protetta dal dolore e dicendo Se mio fratello è morto e voleva vivere, io devo vivere anche per lui e non pensare di farla finita. Consideri che aveva tentato di avvelenarsi ben due volte in casa, dicendo che così avrebbe trovato la pace”.

Il “risveglio della vittima”, brusco, repentino, decisioni di donne che arrivano alla fine di anni di umiliazioni e silenzi, testimonianze di una forza vitale mai sopita e che attende un evento scatenante per sprigionarsi.

“Credo che mia sorella non ce l’avrebbe fatta senza il nostro appoggio. Adesso lei ha un nuovo compagno ed è più serena. Ha vissuto nella paura per anni, ma ora grazie al nostro aiuto ha una nuova vita”

Un messaggio di speranza, un monito a non lasciarsi andare alla solitudine e all’annullamento del proprio diritto a una vita dignitosa: perché, se le vittime non vengono aiutate dai familiari e dalla società, a trovare coraggio, non sono sostenute, difficilmente saranno in grado di reperire le forze interiori utili a risalire dalle profondità oscure in cui l’abusante progetta di confinarle, per un proprio egoistico e sadico tornaconto. Perché l’amore della famiglia ci salva. E nessuno si salva da solo.

*Psicologo Psicoterapeuta Giornalista Pubblicista

 

 

 

 

 

 

 

 

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