100 milioni per ripristinare i laghi salati del Sahara tunisino
100 milioni per ripristinare i laghi salati del Sahara tunisino
Carlo Majorana Gravina
Mentre “i grandi della terra” si accapigliano sulle misure da adottare al fine di tenere sotto controllo il riscaldamento del pianeta e il Nobel italiano Carlo Rubia sostiene che l’argomento è fuffa, un ingegnere ambientalista catanese ha brevettato un sistema per bonificare le aree desertiche del pianeta vicine al mare. Uno studio applicato sul deserto del Sahara, che ci riguarda molto da vicino sotto vari aspetti, importante per tutto il pianeta, che ha conosciuto i fasti della prima serata del sabato di Rai1 nella trasmissione Portobello.
Forse perché a portata di mano, si dà poco rilievo all’importanza che il “mare in mezzo alle terre”, il Mediterraneo, ha per il clima e la meteorologia del pianeta: questa “pozzanghera”, in combinato disposto con la corrente del Golfo ha determinato sorte e sviluppo del nostro continente, la sua civiltà, il suo primato rispetto alle altre terre emerse.
È un fatto che a Sud questo mare lambisce le coste dell’Africa sahariana.
Un tempo, come documentato da pitture rupestri preistoriche, quello che oggi è un deserto salato, era una savana con laghi e lagune. Il nostro ingegnere ha studiato brevettato un modo per fare rifiorire il deserto e riportarlo alle condizioni pedoclimatiche e ambientali di un tempo.
L’idea sarebbe quella di riempire le depressioni desertiche con acqua prelevata dal mare, trasformandole in laghi salati. Con tale allagamento, ottenuto adoperando energie rinnovabili o recuperabili, si ricreeranno le lagune salate che, un tempo, mitigavano il clima con la loro umidità. Tale opera di bonifica consentirà in breve tempo la messa a coltra di 1.500 km quadrati di territorio, consentendo al tempo stesso di produrre 10 milioni di tonnellate/anno di sale marino.
Scavalcando sostenitori e negazionisti della causa dell’innalzamento delle temperature terrestri (il CO2), questa idea progettuale avvierebbe a soluzione i problemi climatici, dando luogo a investimenti, redditi, occupazione: in dieci anni l’investimento triplicherà il suo valore.
Il prototipo è stato studiato per il riempimento della depressione tunisina del Chatt al Gharsa, al confine con l’Algeria.
Nel dettaglio, per superare i modesti dislivelli che separano il mare dalla depressione desertica a tappe intermedie, saranno istallate pompe e serbatoi a corredo di impianti di produzione di energia elettrica eolici o fotovoltaici: i serbatoi fungeranno da accumulatori di energia potenziale.
Secondo i calcoli, facendo affluire 20 metri cubi di acqua al secondo al primo modulo, tramite un impulso energetico al 50% del tempo, si recupereranno circa 250 kmq di laghi l’anno, sfruttando le acque fuoriuscenti dalle turbine a valle del serbatoio di accumulo.
L’evaporazione dell’acqua nel deserto (circa 1 centimetro al giorno), produrrebbe in media 2 millimetri di brina al giorno su 1.250 kmq. (rapporto lago/terreno circostante 1/5), il flusso d’aria del vento caldo che soffia da Sud Ovest si caricherà dei vapori della laguna.
L’effetto della brina, spinta dal vento (ghibli, libeccio), raggiungerà le alture prospicienti i laghi salati di Dj Berda, Dj Orbata e Dj Hadifa, nei mesi più caldi, quando le precipitazioni sono nulle. Altro effetto positivo, non valutabile: l’incremento della piovosità in autunno/inverno, che farebbe divenire fertile un’enorme estensione di territorio: in 100 giorni di evaporazione, l’incremento diffuso su 1.250 kmq di 200 mm di umidità, da solo, trasformerebbe il territorio desertico/semiarido in coltivabile (con ulteriore incremento di umidità da 100 a 350 mm).
La variazione delle precipitazioni complessive consentirà le tipiche coltivazioni dei climi mediterranei, particolarmente grano duro, in latitudini che consentono due raccolti l’anno.
Il primo modulo di lago salato avrà la dimensione di 250 kmq. L’acqua percorrerà l’invaso da est ad ovest lungo un tragitto di 50 km, con un precorso sinusoidale, tra 10 vasche di 25 kmq ciascuna con diverse funzioni:
- Coltivazione mangrovie;
- Acquacoltura di pesci;
- Acquacoltura di mitili;
- Primo riscaldamento;
- Installazione sistema di condensa acqua dolce;
- Ultima vasca di riscaldamento e concentrazione salina
- Raccolta sale alimentare;
ulteriori tre vasche raccoglieranno i sali non alimentari per uso industriale.
Una volta dentro il Chatt el Fedjadj le acque salate viaggeranno a gravità in un idoneo canale di 60 km per disperdersi anche nel Chatt el Jarid riformando il lago salato; eventuali eccedenze potrebbero venire indirizzate sino alla quota della depressione del Chatt Al Gharsa, o verso le depressioni algerine. Eventuali perdite per evaporazione subite nel tragitto saranno compensate dalle modeste precipitazioni invernali.
Oltre ai costi contenuti, il progetto brevettato prospetta altre economicità e vantaggi:
- Utilizzo dell’acqua marina (a costo zero);
- Modifica ambientale per umidità delle aree limitrofe a fini agricoli;
- Raccolta di acqua dolce dall’evaporazione di quella marina;
- Coltivazione di mangrovie nel retro terra, a distanza dal mare;
- Riduzione del livello del mare.
Il modulo studiato per la Tunisia costerebbe 74 milioni di euro che il nostro incrementa del 35% a scopo cautelativo, portando la somma a 100 milioni, nell’ipotesi di prescrizioni governative sulle opere, interessi, acquisto di aree di impianto (grande lago escluso), oneri e manutenzioni per 10 anni; €. 74.000.000,00 + 25.900.000,00 (35%) = 99.900.000,00 arrotondato a €. 100.000.000,00.
Precondizione indispensabile: la stabilizzazione delle situazioni politiche sahariane. Alla Rai è piaciuto. Piacerà anche alla politica?
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