Con “La signora Morli uno e due” il Teatro della Città-Centro di Produzione Teatrale di Catania porta in scena la seconda produzione del suo progetto “Pirandello”
Con “La signora Morli uno e due” il Teatro della Città-Centro di Produzione Teatrale di Catania porta in scena la seconda produzione del suo progetto “Pirandello”
Carlo Majorana Gravina – foto Dino Stornello
Nel 1967 fece sensazione il film Bella di Giorno di Luis Buñuel, soggetto Joseph Kessel, in cui la splendida Catherine Deneuve interpretava una signora borghese che cercava di capire e curare la sua algida sessualità coniugale incontrando sconosciuti (nei salotti catanesi si sorrise di una signora che diceva di sé ingenuamente, ma non c’era alcun arrière-pensée da fare, sono una donna prêt-à-porter).
Nel 1976 irruppe nelle sale Doña Flor e i suoi due mariti, sceneggiatura del romanzo di Jorge Amado del 1966 per la regia di Bruno Barreto, dove la splendida Sônia Braga, moglie di un uomo rispettabile, sognava e riviveva gli eccessi sessuali, e di vita, trascorsi col suo primo marito.
Nessuno dei due è l’equivalente filmico della pièce pirandelliana La signora Morli uno e due: Pirandello è un caposcuola. La seconda metà del secolo breve giustifica con nevrosi e onirico e compatisce ; Pirandello affronta e attacca la morale borghese.
Il combinato disposto delle novelle La morta e la viva (1909) e Stefano Giogli uno e due (1910) da cui scaturisce questa commedia borghese (1920), evidenzia le sfaccettature forse di ogni donna (giovanetta giocosa, femmina, signora rispettabile, madre) e la loro collisione con la morale borghese: bisogna smussare gli spigoli del poliedro! Allineare e unificare in unica facciata! È questa la violenza iniqua e ottusa che pervade il pianeta? Perché mai nella prima parte del secolo breve si mette sul banco degli imputati, esposta al giudizio del pubblico la morale borghese, mentre nella seconda metà, proprio negli anni a cavallo del fatidico ’68, storie fuori dall’ordinario vennero giustificate con la nevrosi o relegate nell’onirico?
Già il nome dato da Pirandello alla protagonista, Evelina, consente l’uno/due del titolo nei diminuitivi: Eva (evocando il peccato originale) per il marito, Lina per l’uomo che le ha ottenuto rispettabilità. La poliedricità della donna è nevrosi (come nelle pellicole citate)? Per il girgentino è nell’ordine naturale delle cose.
Evelina Morli è lucida e serena. Al riapparire del marito, dopo un primo turbamento e grazie al figlio, ha ben capito cosa deve fare: tenere la barra del timone ferma sulla sua maternità; gli altri ruoli che vorrà/potrà giocare si avvicendino pure, la maternità terrà al guinzaglio tutto ciò che le ruota attorno e le darà ragione.
Il tocco pirandelliano, nell’ultimo atto, è dato dalle due amiche di Evelina che, piuttosto di capire il suo punto di vista, e magari avvantaggiarsene, escono di scena indignate come gesto di muto rimprovero: la società deve procedere secondo le regole che si è data, inesorabilmente comunque.
L’attività del Teatro della Città/Centro di Produzione Teatrale, realizza con questo testo la seconda messinscena del Progetto Pirandello.
Con la regia di Riccardo Maria Tarci, scene Susanna Messina, costumi Sorelle Rinaldi, luci Sergio Noè, in scena un affiatato cast: Maria Rita Sgarlato (Evelina Morli), Filippo Brazzaventre (il marito Ferrante Morli), Carlo Ferreri (l’avvocato Lello Carpani), Daniele Bruno (Aldo Morli, figlio di Evelina e Ferrante), Santo Santonocito (avvocato Giorgio Armelli, socio del Carpani), Anna Passanisi (Lucia Armelli), Tiziana Bellassai (Amelia Tuzzi, amica di Evelina) e Gianmarco Arcadipane (Ferdinando, il cameriere).
Buona scelta delle musiche di scena per sottolinere efficacemente i vari passaggi di un testo di poca azione, movimentato nei contenuti.
“La signora Morli – spiega Tarci – è stata scritta e rappresentata la prima volta un secolo fa. È cambiato qualcosa? Sotto certi aspetti sì, ma l’essere umano e alcune sembianze della società sono rimasti uguali. Basti pensare all’ipocrisia della borghesia che, sia all’epoca di Pirandello, sia oggi si maschera dietro certe convenzioni che impone. Ancora oggi dietro il loro perbenismo, legato all’aspetto sociale, civile e religioso, molti sono obbligati a indossare una maschera” [non mancano gli esempi, ndr].
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