Presentato l’ultimo libro di Giulio Tremonti al Palazzo delle Scienze di Catania

Presentato l’ultimo libro di Giulio Tremonti al Palazzo delle Scienze di Catania

L’ex ministro, guardandosi bene dal parlare di politica italiana ed europea, indica quali sviluppi potrà avere l’economia mondiale

 Carlo Majorana Gravina

Giulio Tremonti, a Catania per presentare il suo ultimo saggio “Le tre profezie. Appunti per il futuro”, presentato dal Prof. Maurizio Caserta nell’aula magna del Palazzo delle Scienze di Catania, ha esordito con la consueta puntigliosa arguzia: “Marx, Goethe e Leopardi, autorevoli scrittori e pensatori vissuti più o meno due secoli fa, hanno avuto visioni oggi molto attuali. Marx è lo stregone che evoca potenze sotterranee non più dominabili; Goethe la vita virtuale, il diavolo mefistofelico che fa firmare una cambiale per scambiare l’anima con una vita diversa da quella reale e trasforma il cogito ergo sum in digito ergo sum, con tutto quello che ne deriva; Leopardi preconizza la crisi delle civiltà cosmopolite globali, osservando che quando nell’Impero tutti diventarono romani, nessuno fu più romano davvero e Roma cadde”. Ed è volendo traslare queste profezie ai giorni nostri che ha spiegato: “Attualizziamo Marx con il conflitto tra l’America e la Cina e Goethe alla dominazione della dimensione virtuale. Basti pensare – ha aggiunto – alla Libra di Facebook e al fatto che un tempo la moneta la facevano gli Stati e adesso lo fanno loro”. Per quanto riguarda Leopardi, invece, “la crisi delle civiltà cosmopolite si evince dalla generazione di persone tutte uguali, omologate, e questo non funziona”.

Particolare spazio è stato poi dedicato alla degenerazione della finanza e alla finanziarizzazione dell’economia. “Il limite consentito viene superato quando cadono i confini, politici, nazionali, ma anche reali, e quando con la globalizzazione la ricchezza viene inventata in rete. La ricchezza non è più reale; viene creata in modo artificiale attraverso la rete, i computer, e sopraggiunge quella cambiale di Mefistofele in cui i biglietti iniziano a staccarsi dalla realtà”.

In effetti bisognerebbe stabilire un rapporto di proporzionalità tra economia reale e finanza oltre il quale, se non viene mantenuto, l’economia va al collasso. “In un contesto in cui la massa finanziaria è sempre più scollata dall’economia reale diventa difficile dire quando l’evoluzione è diventata involuzione. C’è troppa finanza”.

Libro agile e piacevole, ricco di citazioni attinte ad una vasta cultura umanistica, quasi a ribadire, dopo “Rinascimento. Con la cultura (non) si mangia” scritto a quattro mani con Vittorio Sgarbi e pubblicato nel 2017, di non aver mai pronunciato la fatidica frase incriminata a lui attribuita.

L’ex ministro, testimone diretto di tanti «misteri» della storia recente, ha precisato che il libro non fa riferimenti alla situazione politica italiana ed europea attuali: ha preso spunto dalle profezie di tre autorevoli pensatori “che non avevano l’i-phod ma vedevano il futuro” mentre “oggi c’è gente che ha il computer ma non capisce il presente”, intrecciandole alla sua esperienza di studioso e protagonista della politica, osserva: “la storia, che doveva essere finita, sta tornando con gli interessi arretrati; la giovane talpa del populismo sta scavando il terreno su cui, appena caduto il muro di Berlino, è stata costruita l’utopia della globalizzazione: sembra di essere tornati agli anni ’20 di Weimar, in una società stravolta e incubatrice di virus politici estremi. Ma non tutto è perduto, per l’Italia e per l’Europa”.

Che politica servirebbe per rimediare? “I governi possono fare poco bene per l’economia, se vogliono possono fare male. Stalin, con il suo potere, non attribuì mai alla sua azione effetti sul Pil; faceva sempre riferimento all’eroico sforzo della classe operaia. Nel lontano 1995 scrissi “Il fantasma della povertà”. Tutti allora erano positivi e progressivi, io invece dicevo c’era anche un lato oscuro della globalizzazione non solo positivo; i capitali sarebbero andati in Asia alla ricerca di manodopera a basso costo e noi avremmo importato povertà: o perdendo posti di lavoro o  livellando i nostri salari a quelli dell’Asia”.

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