Giulio Tremonti su Cina, suo peso economico e l’evoluzione economica planetaria dopo il coronavirus

Giulio Tremonti su Cina, suo peso economico e l’evoluzione

economica planetaria dopo il coronavirus

 

Carlo Majorana Gravina*

«Il coronavirus, per Giulio Tremonti, è un epifenomeno, ma la radice di quello che sta succedendo [in Cina, guardando l’immagine notturna del subcontinente presa dal satellite]: la costa, da Nord a Sud, è totalmente illuminata, l’interno è buio, a parte le aree attorno Pechino e qualche altra grande città. È un buco nero e, ad avere prodotto questo incidente della Storia, è proprio la contraddizione che si è aperta tra la parte meno sviluppata del Paese e quella costiera iper avanzata. La crescita della Cina negli scorsi due decenni è stata troppo rapida, una forzatura che ha creato grandi squilibri. Il paese ha un grande problema demografico: mezzo miliardo di persone anziane. Nel 2009, invitato a tenere una lezione alla scuola del Partito Comunista, mi fu detto che l’obiettivo era fare diventare i cinesi un po’ più ricchi prima che diventassero vecchi. E in questa direzione si sono lanciati, puntando sull’intelligenza artificiale come sostituto della manifattura. È una corsa che ha creato un impressionante squilibrio geografico. Oggi ci sono due Cina: quella esterna iper sviluppata, quella interna ferma in un’arretratezza millenaria».

Far diventare più ricchi i cittadini di uno Stato comunista, è un obiettivo indesiderabile per la contraddizion che nol consente (Dante Alighieri), ma l’Oriente misterioso è pieno di sorprese. «[Oggi] Si è rotto il paradigma che ha sostenuto questo sforzo. All’interno della Cina e fuori. A Pechino mi sembrano terrorizzati: credo più per gli squilibri economici e politici che il coronavirus ha creato, che per gli aspetti sanitari. Verso l’estero, è evidente che questa crisi è un duro colpo per la Cina. Quanto duro lo vedremo nel tempo ma il Paese, che era un modello di stabilità, ha perso questa caratteristica: ne stiamo vedendo le conseguenze economiche. I crolli in Borsa sono l’aspetto visibile,  forse il meno rilevante. Già gli Stati Uniti di Trump stavano portando un attacco commerciale e tecnologico ai cinesi, vedendo nella Huawei, che fornisce le reti di telecomunicazione 5G, un “momento Sputnik”, quando l’Unione Sovietica negli Anni Cinquanta li superò nello spazio. A questa tensione si aggiunge ora il contraccolpo economico del coronavirus, che sarà molto consistente. Il Pil di Cina, Europa e Stati Uniti scenderà parecchio più delle previsioni ufficiali, le stime vanno corrette al ribasso».

Le cifre economiche riportate sui media mirano raccontare lo sviluppo della crisi a piccole dosi, una sorta di mitridatizzazione? «Oltre all’aspetto diretto della crisi, che avrà forti ricadute sociali ed economiche, saranno da ricostruire le filiere produttive mondiali che avevano al centro la Cina, ora mezzo bloccata. Viene meno la fiducia nell’automatismo progressivo della globalizzazione. Le conseguenze a cascata saranno ampie, anche sul versante politico, a Pechino e nel resto del mondo. È un momento di enorme cambiamento».

Sull’intervento delle banche: «La finanza è all’origine di questa crisi della globalizzazione, non può essere la soluzione. Gli spazi per abbassare i tassi d’interesse, sono minimi ovunque. Credo si debba tornare alla politica, magari con un piano di investimenti pubblici e, in Europa, con la creazione degli euro-bond estesi anche al settore della Difesa, stiamo vivendo un momento straordinario, occorre essere pronti a scelte non facili. Ho l’impressione che ci siano analogie con l’8 settembre (1943). Di fronte all’emergenza sanitaria, il governo non ha fatto quello che doveva, ha lasciato che ognuno andasse per i fatti suoi. L’economia era già ferma, poi è arrivata la Cina e il pasticcio che ci siamo fatti da soli. Ma non sono del tutto pessimista: dopo l’8 settembre è arrivata la Resistenza».

*fonti Corriere della Sera, Dagospia, MicroMega

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