ADHD: sindrome complessa che richiede l’intervento congiunto di specialisti, scuola e famiglia
ADHD: sindrome complessa che richiede l’intervento congiunto di specialisti, scuola e famiglia
Angela Ganci
Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, o ADHD, è un disturbo evolutivo dell’autocontrollo le cui caratteristiche essenziali si possono riassumere in difficoltà di attenzione e concentrazione, di controllo degli impulsi e del livello di attivazione comportamentale.
Si tratta di un problema che deriva sostanzialmente dall’incapacità del bambino di regolare il proprio comportamento in funzione del trascorrere del tempo, degli obiettivi da raggiungere e delle richieste dell’ambiente.
I sintomi centrali del disturbo sono i seguenti:
- Scarsa attenzione mantenuta, quindi precoce distraibilità, e debole persistenza per l’esecuzione dei lavori, quando la concentrazione è necessaria per un corretto svolgimento degli stessi;
- Inadeguato controllo degli impulsi e difficoltà nel ritardare la gratificazione: spesso, infatti, questi bambini non riescono a riflettere prima di agire, ad aspettare il proprio turno durante una conversazione, risultando poco riflessivi;
- Irrequietezza motoria (dimenarsi sulla sedia, lasciare il proprio posto a sedere in classe, scorrazzare in situazioni in cui ciò è fuori luogo).
Si tratta di un fenomeno complesso da diagnosticare, che è stato fotografato dal Registro nazionale dell’ADHD dell’Istituto Superiore di Sanità, che raccoglie i pazienti con quadro clinico di gravità tale da richiedere il trattamento combinato, farmacologico e psicosociale.
Secondo i dati raccolti nel Registro, ad Aprile 2016 risultano arruolati nel registro 3696 pazienti, con un’età media di 10,7 anni, prevalentemente maschi (88,5%), mentre solo l’11,5% di sesso femminile.
Riguardo le origini del disturbo, diverse ricerche identificano una certa familiarità nella presenza di ADHD: essa costituisce uno dei disturbi psichiatrici con più elevata ereditabilità, benché le ricerche sui geni connessi a tale disturbo siano ancora non definitive.
Riguardo invece ai fattori ambientali, hanno dimostrato una qualche relazione con il disturbo l’alcool e il fumo durante la gravidanza, associati non di rado a complicanze prenatali che spiegano gli elevati tassi di parti pretermine in questi soggetti.
Ancora, la TV e, in particolare, le ore trascorse quotidianamente dai bambini di fronte a essa dall’età di 0 fino ai sei anni, influirebbero significativamente sullo sviluppo di disordini dell’attenzione e iperattività.
È importante infine sottolineare la presenza del disturbo oppositivo–provocatorio e del disturbo della condotta, che si verificano rispettivamente in circa il 20-50% dei casi di ADHD, caratterizzati da comportamenti di aggressione e lesivi dei diritti altrui come falsità, menzogne e furti; comportamenti che possono evolvere in un disturbo Antisociale di Personalità, se il disturbo ADHD non viene trattato.
Alla luce di tale quadro sintomatico e etiologico, oggi esistono terapie di comprovata efficacia che coinvolgono sia il clinico che scuola e famiglia, in quanto soggetti collaboranti nella cura.
Attraverso un’opportuna terapia di tipo cognitivo il bambino ADHD viene allenato alla procedura delle autoistruzioni verbali consistente nell’utilizzare strategie di dialogo interno, suddividendo i problemi in varie tappe (identificazione di un problema, generazione di alternative, scelta, realizzazione e valutazione di una soluzione). L’efficacia terapeutica di tali tecniche deriva dalla considerazione per cui esse verranno successivamente interiorizzate, arrivando a compensare i deficit di autocontrollo tipici del disturbo (Hinshaw & Melnick, 1992).
La famiglia, come ben si comprende, viene attivamente coinvolta, attraverso apposite sezioni di Parent Training: gli incontri si possono svolgere a gruppi di 5-6 coppie, oppure singolarmente. I più efficaci programmi di Parent Training utilizzano una combinazione di materiale scritto e istruzioni verbali, attraverso cui ai genitori viene insegnato a dare chiare istruzioni, a rinforzare positivamente i comportamenti accettabili, attraverso lodi o premi graditi dal bambino, a ignorare alcuni comportamenti problematici, e a utilizzare in modo efficace le punizioni.
Importantissimo, sia in casa che a scuola, il concordare e far rispettare un numero minimo di regole comportamentali (Taylor,1998): in questo caso per esempio i genitori concordano con il proprio figlio delle “regole” a cui, se il bambino farà fede, seguiranno dei premi (rinforzi), attraverso la forma del contratto, a cui partecipa anche la scuola. Tipico contenuto di questo accordo è il seguente: “Se durante questa settimana mi comporto bene con i miei compagni, i miei genitori mi porteranno allo zoo il prossimo sabato mattina”.
Al bambino devono essere sempre riferite regole chiare, concise: a tal fine in classe, può essere applicato, sul banco del bambino, un foglio con alcune regole di base (alza la mano per fare una domanda, stai seduto durante le lezioni). In ultimo, è opportuno ridurre il contenuto delle verifiche ovvero concedere maggior tempo per concludere le stesse, creando ambienti idonei per la concentrazione dell’alunno.