“Esploratori” taorminesi a caccia di splendide aurore polari
Taormina – (del prof. Manlio Passalacqua) La ricerca delle “aurore polari” è una vera e propria caccia. Diverse condizioni devono attuarsi in contemporanea: l’attività del Sole, da cui dipende la loro apparizione più o meno spettacolare; la latitudine esatta, che intercetti il famoso “ovale” delle aurore, che giace piu o meno sui circoli polari (66° N e S rispetto all’equatore); la stagione giusta con molte ore d buio; l’orario nella notte, poiché esse raggiungono un picco orario a seconda della località per poi decrescere inesorabilmente. Ma tutto, tutto quanto detto, qualora le variabili suddette dovessero avverarsi e coincidere, tutto viene totalmente inficiato da un ultimo e più importante fattore: è d’obbligo una notte limpida e priva d nubi. È quanto finalmente accaduto alla piccola squadra di “cacciatori” (di cui fanno parte stabilmente i prof, Franco Vinciguerra e Rosalba Ruggeri) che da almeno un decennio impiega i ponti festivi invernali e le vacanze natalizie viaggiando nei territori polari, i più diversi, per poter vivere questa esperienza unica e, perchè no, cercare di riportare qualche immagine a casa. Dopo i tentativi effettuati in Norvegia, Finlandia, e Islanda, questa volta è stata la volta della Svezia; poco a Nord della cittadina di Lulea, sotto il circolo polare artico, la notte del 1 gennaio, con una temperatura esterna che ha toccato i 25° sotto lo zero, la piccola squadra di cacciatori ha goduto di uno spettacolo, che, come forse non si immagina, è alquanto diverso dalle spettacolari foto ed immagini che ormai sono reperibili ovunque da chiunque. Per fenomeni di intensità media, come quello osservato a capodanno, il primo occhio che rileva la luce aurorale è quello della macchina fotografica, che nel buio più totale, rileva ed apprezza un colore verde di fondo. È il momento di fermare l’auto, con cui girovaghiamo nella notte più profonda tra i boschi più remoti della taiga lappone, lontano da ogni fonte luminosa artificiale, in un punto che abbia un ampio orizzonte libero verso nord. Le luci dell’auto si spengono, l’occhio inizia ad adattarsi alla visione notturna, ed ecco che innaturalmente il cielo si accende, prima poco, poi sempre d più, formando bande di fredda luce chimica, in genere verde, che si spostano e si trasformano in cortine, archi, linee curve della forma più svariata, fino a formare vere e proprie fiammate davvero impressionanti. L’occhio umano vede tuttavia molto meno di quello che una fotocamera riesce ad immortalare, soprattutto in occasione di aurore definite di intensità kp=2-3 (media), come quelle a cui ci riferiamo. L’evento, tanto ricercato, ed agognato, suscita nel proprio intimo emozioni non facilmente riferibili, anche perché turbate ed inquinate dalla voglia, fretta e necessità di volerle immortalare. La mente cerca d spiegare qualcosa che non rientra nelle nostra abitudini mediterranee e ovviamente non c riesce. Affiorano dalla memoria tante storie e leggende lette in giro per il mondo, che raccontano e diverse interpretazioni date al fenomeno dagli antichi abitatori dei poli (gli dei che giocano al calcio). E mentre tutto questo accade senza che la cognizione del tempo venga mantenuta coerente, il cielo si spegne, inesorabilmente, senza concedere bis, per tornare al suo tetro colore invernale, punteggiato da quelle costellazioni ben note agli occhi dei “cacciatori”. Fotografare le aurore polari non è affatto semplice, con attrezzature fotografiche medie. Senza entrare nei dettagli uno dei primi problemi da risolvere con camere non professionali è l’incapacità di mettere a fuoco l’infinito, d notte, senza godere di riferimenti ben visibili. Questo spiega, e ce ne scusiamo, la cattiva qualità delle immagini riprese che tuttavia mantengono la più portante delle caratteristiche: sono le nostre”.