Sul vaccino Novavax Giulio Tarro ridimensiona le aspettative e invita alla prudenza: “Negli Usa sono già oltre”
È in arrivo nei prossimi giorni in Italia la prima trance di 3,6 milioni di dosi del nuovo vaccino Novavax approvato dall’Aifa il 22 dicembre dello scorso anno per tutta la popolazione dai 18 anni in su. Novavax potrebbe vincere la diffidenze e gli indecisi. Si tratta di un vaccino tradizionale, che punta alla tecnica delle proteine ricombinanti: è fatto con copie coltivate in laboratorio della proteina spike che riveste il coronavirus.
Abbiamo intervistato il Prof. Giulio Tarro, allievo di Albert Sabin, che partecipò alla ricerca e alla messa apunto del vaccino contro la poliomielite, proclamato miglior virologo dell’anno nel 2018 dall’Associazione internazionale dei migliori professionisti del mondo.
Il vaccino Novavax, in arrivo in Italia, potrà vincere sui dubbi e le perplessità? È davvero il vaccino della svolta, che vincerà le resistenze degli indecisi?
“Si tratta di un vaccino a vettore virale simile ad Astrazeneca, Sputnik e Johnson & Johnson. Mette l’organismo in condizione di produrre anticorpi per l’intera particella virale e non soltanto per la proteina spike. È sicuramente una versione completamente diversa rispetto ai vaccini ad mRna messaggero che si basano su un’informazione genetica che porta a produrre il virus per mettere poi l’organismo nelle condizioni di sviluppare gli anticorpi. Per questo motivo i soggetti, pur vaccinati, continuano ad essere contagiosi e contagianti. Questo spiega anche perché con i vaccini ad mRna è sempre necessario calmierare bene le dosi. Un recente studio inglese ha messo in guardia dal rischio di sviluppare immunodeficienze nel caso di eccessivi dosaggi. Il Novavax invece sfrutta un combinato di proteine simili alla Spike che una volta iniettate spingono il sistema immunitario a riconoscerle come estranee e quindi a reagire quando il virus inizia a manifestarsi”.
Adesso i no vax non avranno motivi per rifiutare le vaccinazioni?
“Sui cosiddetti no vax dobbiamo distinguere: ci sono quelli che rifiutano la vaccinazione per principio e non credo che questi cambieranno facilmente idea e quelli che hanno giustificazioni genetiche valide, visto che l’inoculazione del vaccino potrebbe procurare loro serie conseguenze. Esiste quello che viene definito pannello trombofilico, che in seguito a vaccinazione potrebbe subire una mutazione dei geni. Quindi questi soggetti in ogni caso non potrebbero fare nessun tipo di vaccino”.
Ma almeno ai dubbiosi, consiglierebbe il Novavax?
“A questo punto consiglierei di aspettare il vaccino successivo che utilizza un virus completamente inattivato. Un nuovo vaccino sperimentato e già approvato negli Stati Uniti che presto dovrebbe arrivare anche da noi. Qui siamo già oltre il vettore virale, perché si tratta di un vaccino realizzato senza bisogno di riprodurre sequenze del virus vivente ma sfruttandone la versione inattiva. La risposta immunitaria in questo caso scatterebbe senza più il rischio che il virus possa comunque infettare. Negli Usa sono già in fase più avanzata”.
Per quanto riguarda i richiami, lei a chi li consiglierebbe e perché?
“I richiami vanno fatti con criterio, non generalizzati come avviene da noi. In Israele per esempio, dove già stavano somministrando le quarte dosi hanno dovuto fermare tutto dopo aver preso atto che il richiamo non garantiva né efficacia, né sicurezza. Sono partiti in quarta, poi si sono dovuti fermare. Altro che nazione modello”.
Oms ed Ema hanno messo in guardia dai pericoli rappresentati dalla somministrazioni di dosi troppo ravvicinate. Da noi sono arrivate a farle ogni quattro mesi. Che ne pensa?
“Ho l’impressione che si stiano sovvertendo tutte le concezioni immunologiche possibili. Nel momento in cui si manifesta un’infezione naturale, altrettanto naturalmente si producono gli anticorpi. Lo dimostra il fatto che tutti quelli che sono stati contagiati dalla prima Sars nel 2003 e sono guariti, non hanno mai preso il Covid perché sono immuni. Altra sciocchezza è ripetere che gli africani hanno bisogno di essere vaccinati. Il continente africano è composto da popolazioni che sono abituate a convivere da sempre con le malattie che dagli animali si trasmettono poi alle persone, le cosiddette zoonosi, La famiglia dei beta coronavirus è conosciuta da tutti e gli africani hanno per questo gli anticorpi naturali anche contro il Covid. La variante sud africana è diventata famosa nel mondo perché è nuova per noi occidentali, ma loro ce l’hanno già dall’estate scorsa e ci hanno convissuto tranquillamente proprio perché sono immunizzati rispetto all’intera famiglia dei beta-coronavirus cui appartiene anche il Covid. In Africa non è mai esistita alcuna pandemia. Altro che vaccini al terzo mondo, sono loro che ci insegnano come reagire”.
Ha senso secondo lei obbligare le persone guarite dal Covid a vaccinarsi fra sei mesi per poi riavere il green pass?
“Questa è una follia, quando si è guariti si è già immuni. A meno che, e a pensar male si fa peccato, le vaccinazioni non sono in realtà legate a ragioni sanitarie ma di altra natura, soprattutto economica. Il sospetto di fronte a certe situazioni sorge quasi spontaneo”.
In questi mesi professore lei ha assunto spesso posizioni critiche rispetto a quelle del Comitato tecnico scientifico e dei cosiddetti esperti. Oggi si sente di aver avuto ragione o forse cambierebbe certe sue posizioni?
“Non mi interessa aver avuto ragione. Io mi sono sempre basato su ragionamenti scientifici e non ideologici. Di sicuro tanti dovranno rispondere delle sciocchezze che hanno detto spesso nei programmi televisivi dove sono stati pure pagati. Dovranno chiarire le loro contraddizioni, le cose dette e poi smentite dai fatti, le certezze poi ritrattate. Mi pare che alla fine tutto è andato come avevamo previsto. Le mie convinzioni si sono basate sempre sull’esperienza dei Paesi che per primi hanno gestito l’epidemia da Covid-19, Cina e India su tutte, che sono poi la maggioranza della popolazione mondiale. Loro grandi problemi non li hanno mai avuti. I cinesi hanno superato l’emergenza chiudendo le frontiere, mentre gli indiani pur con tutte le emergenze igieniche con cui devono convivere, grazie all’utilizzo dell’Ivermectina hanno tenuto la situazione sotto controllo. Hanno utilizzato un comunissimo anti virale che ha funzionato perfettamente anche senza le vaccinazioni”.