“Corro da te”, recensione del film

di Angela Ganci *

“Corro da te”, un film che lancia un messaggio forte, indiscutibile: amare significa riscoprire una vicinanza intima nascosta dietro sopravvalutate differenze esteriori perché nel suo cinismo, nei suoi biechi stratagemmi, nella sua surreale sicurezza senza abilità emotiva, l’unico disabile in questa storia è proprio il protagonista Gianni, portatore di una disabilità del cuore che supera, e di molto, quella di un arto malfunzionante.

Alessia e Gianni, un incontro surreale per un Favino cronicamente bugiardo, un fingersi tragicamente disabile per “concludere” con una bella ragazza, spinta dal senso di solidarietà che la disabilità inevitabilmente porta con sé, oltre che dal lavoro della donna ammirevole che “aiuta gente disabile come te”.
Questo l’incipit di “Corro da te”,  film romantico italiano del 2022 diretto da Riccardo Milani, remake della pellicola cinematografica francese “Tutti in piedi” di Franck Dubosc, per una produzione Wildside e Vision Distribution con la collaborazione di Sky e Prime Video.

Con Pierfrancesco Favino e Miriam Leone nel ruolo di Gianni e Chiara, la sorella della bellissima e normodotata Alessia, rispettivamente il collezionista di donne falsamente disabile e la donna realmente disabile, “Corro da te” parla d’amore, di sincerità, di disabilità.

È la storia di un uomo che mente sempre che incontra una donna che non mente mai, per una nutrita serie di pregiudizi, stereotipi sull’handicap, considerato come un business a perdere per il Favino imprenditore, personaggio cinico per cui “arrivare al traguardo primi, mai in squadra”.

Questo fino all’incontro inaspettato e sconvolgente con la disabile, il “compagno di una squadra mai immaginata”, in un colpo di scena mozzafiato.  Chiara, la single, che si interessa di musica, arte, sport, che suona il violino e che sprizza energia e vita, una bella donna, in fondo disabile, su cui scommettere  con gli amici, per il gusto maschile e maschilista di sedurla, in un gioco infantile e prevedibile.

Un disabile che “fa pietà, pena, la cui migliore amica è la carrozzina, che sa di non essere uguale e cerca amicizia tra i suoi simili”.
Questa l’immagine che Claudia dà di se stessa, che contrasta con lo sguardo ammirato di Favino durante la partita a tennis della nuova scoperta femminile, fino alla scena epica, accompagnata da una musica di sottofondo degna di un film di fantascienza, del gruppo di amici disabili di Claudia in un incubo dell’accettazione che, per fortuna, si rivelerà solo un sogno.

Un sogno come quello di un nuovo amore nascente, intriso delle svariate gaffe di Gianni che non sa destreggiarsi su una sedia a rotelle e inciampa più volte nella parole.

Parole che solo un bacio marino riuscirà a mettere a tacere, complice quella strana bicicletta a rotelle su cui in maniera poco abile il falso disabile riesce a restare incollato.

E poi l’amore in acqua della disabile e del finto invalido, in una scommessa vinta, benché nella più totale sconfitta del sentimento.

Un sentimento da calcolatore, freddo come la bugia, oppure no … Infatti, se in realtà si passasse dalla goliardia di una scommessa di basso profilo con un gruppo di amici curiosi a un cambiamento radicale del proprio modo di vedere il disabile e l’Amore per un handicappato?

E ancora l’Amore resisterà alle bugie, chi è in realtà il vero handicappato, si deve forse  considerare un handicap una reiterata bugia della fiducia più che un difetto fisico?

Infine fino a quando si può fare finta di una bugia in cambio di un attimo eterno di felicità, per farsi amare nonostante il proprio handicap motorio? E quando la Verità viene a galla, saprà l’Amore genuino del disabile resistere alla fragorosa bugia del Normale? Saprà il Normale ottenere la propria Redenzione?

Potrà il disabile perdonare la bugia che offende e avvicina un  Amore fasullo con la calamita ignobile della pietà? Davvero al traguardo si arriva da soli allontanando tutti, in particolare chi non corrisponde ai canoni della normalità?

Allo spettatore il gusto di rispondere a questi quesiti, nella cornice di una Lourdes meno miracolosa di quanto sembri, gustando il finale di un film pieno di ilarità, handicap della normalità e profonde riflessioni sul senso profondo dell’essere “uguali nella diversità”.

Un finale che la mano dell’Amore riuscirà a riabilitare, incitando a non arrendersi alla lotta per la riconquista dello stesso, una mano forte, decisa, supportiva, una “mano abile” contro delle gambe irrimediabilmente inerti. Come a dire che la vera forza risiede dentro, nel coraggio e nella voglia di vivere, non tanto nelle gambe forti del corridore lesto ma solo, che ha bisogno non di gloria, ma di compagnia, apertura mentale e forza interiore per vincere la Corsa della Vita, sorretto dalle abili mani-gambe di chi torna indietro per non disperdere i sentimenti. Una Vita in cui tutto era previsto, dalla vecchiaia ai metodi di ringiovanimento, tranne l’incontro con un Amore fulminante e abile a stordirci. Un Amore che con il concetto di disabilità sembra proprio non avere alcun legame.

* psicologo psicoterapeuta scrittrice

Angela Ganci

Angela Ganci

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