Al Palazzo della Cultura di Catania, “L’uomo dal fiore in bocca” di Pirandello nell’adattamento e regia di Pino Pesce, protagonista Mario Opinato
Nella Corte del Palazzo della Cultura (ex Platamone) di Catania, con il Patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Catania, per “Catania Summer Fest”, ritorna in scena “L’Uomo dal fiore in bocca” di Luigi Pirandello nell’originale regia e adattamento del testo di Pino Pesce.
Una sorprendente messa in scena, stavolta nella prestigiosa Corte “Mariella Lo Giudice” del Palazzo Platamone, ormai simbolo della Cultura etnea.
Derivato, con poche varianti, dalla novella Caffè notturno del 1918 (rinominata nel 1923 La morte addosso), L’uomo dal fiore in bocca è un atto breve di Luigi Pirandello rappresentato per la prima volta da Anton Giulio Bragaglia al teatro “degli Indipendenti” di Roma, viene riproposto per esprimere il meglio delle virtù narrative dello scrittore di Girgenti e, come sottolinea il regista, per mettere a fuoco innovativamente l’illusorietà della vita, la quale – pur se vista nella sua nuda labilità – vuole essere vissuta; per cui l’uomo vi si attacca «Come un rampicante attorno alle sbarre d’una cancellata».
Un gioco ed una “lezione” che vogliono coinvolgere in toto gli spettatori, specialmente quelli giovani, grazie alla brillante interpretazione antiretorica di Mario Opinato nel ruolo dell’uomo dal fiore in bocca, il quale utilizza le sue notevoli doti di comunicatore e di provato attore cinematografico.
Esterno di caffè (di una stazione ferroviaria secondaria), di notte illuminato solo da deboli luci notturne, un “pacifico avventore”, bravamente portato in scena da Gabriele Vitale, aspetta il primo treno del mattino avendo perso l’ultimo treno serale. Un altro cliente (che per il male che porta non riesce a stare a casa) va in giro e si imbatte in quel bar; ha inizio un dialogo fra i due.
Sarà il crescendo di una storia dolorosa fra senso e non senso che lo spettacolo spiega fra innesti di passi dello stesso Pirandello e le allegorie del rifacitore che si chiudono con il superamento dello scetticismo dell’opera originale ed un’apertura verso una dimensione di speranza dopo la morte.
Il dialogo è, come dice Pesce, rifacendosi a Leopardi, un monologo tra l’uomo razionale, cosciente del proprio male, che sembra accettare serenamente la malattia, e l’uomo comune preso dagli affanni della vita quotidiana. Insomma una sapientissima miscela di tragico, grottesco e umoristico; un testo complesso che non vuole proporsi ad un pubblico sbarazzino e disimpegnato.
Straordinaria e da pelle d’oca la voce fuori campo di Pino Caruso che racconta il momento del trapasso attraverso la bilocazione, cui rispondono bene le musiche originali di Elisa Russo che entrano nell’anima. La scarna scenografia si avvalora con i video magistralmente costruiti da Enza Mastroeni ed Alfio Cosentino.
Da sottolineare poi, a caratteri evidenti, le armonie artistiche delle figure di danza di Rossella Motta (allegorie Vita-Trapasso) e di Valentina Signorelli (allegorie Vita-Tempo).
Lo spettacolo spiegherà ciò che è difficile narrare!