Storia di Hana

Nel 1944, in Belgio, una giovane coppia ebrea dei Maquis, (combattenti antinazisti belgi), fu arrestata dai tedeschi e portata in prigione. Marc Joseph Charlier, 25 anni, e Sarah Yael Jacovna, 19 anni, aspettavano una figlia, che nacque in prigione e che in seguito sarebbe stata chiamata Hana che significa grazia in ebraico.

La prossima destinazione della sventurata famiglia sarebbe probabilmente il campo di Aushwitz, dove il padre sarebbe servito come schiavo fino alla morte, mentre la sua amata moglie e la piccola figlia sarebbe stati uccisi in una camera a gas per poi essere inceneriti, oppure gettati in una grande fossa comune. Ma il finale è arrivato prima del previsto. Gli alleati si stavano avvicinando e i nazisti, vedendo l’imminente sconfitta, decisero di uccidere i prigionieri in modo che non sopravvivessero. E fu in una di quelle notti buie che un ufficiale entrò nella stanza dove stavano i prigionieri, sparando vigliaccamente. Uno dei proiettili colpì la giovane Sarah Yael alla schiena, trafiggendole il cuore. Il suo corpo cadde su quello della bambina coprendolo come se fosse una pietra tombale. Dal seno, invece del latte, sgorgava sangue caldo che avvolgeva Hana, in quel parto inverso.

In quel momento, però, accadde qualcosa di inaspettato. Un soldato tedesco, fino ad allora ateo, che aveva osservava la scena, sussurrò una preghiera. Secondo la sua stessa testimonianza, resa anni dopo, fu la prima della sua vita. In essa pregava Dio che la bambina non piangesse, in modo che non sparassero anche a lei. La sua intenzione era salvare la bambina. Con sua sorpresa avvenne il miracolo e senza sapere esattamente cosa fare, con la bambina tenuta in un sacco, si avviò per le tortuose vie della città per consegnare la piccola ai guerriglieri, i quali, senza capire bene le sue intenzioni, lo picchiarono e lo arrestano rinchiudendolo in una prigione sotterranea, dove sarebbe rimasto fino alla fine della guerra. Giorni dopo, Hana fu mandata in un monastero da una donna di nome Yvonne Nevejean, dove trovò rifugio sicuro insieme a dozzine di altri orfani, tutti cresciuti da pii gesuiti. Oltre all’accoglienza materiale, quei preti caritatevoli pensarono bene di non approfittare della situazione ed indirizzare i bambini al cristianesimo, ma in segno di rispetto preferirono insegnare le preghiere e i canti ebraici che gli orfani avrebbero imparato da i loro genitori, se non fossero stati assassinati. Anni dopo, Hana venne a sapere che tra quei sacerdoti c’erano anche ebrei travestiti e accolti dai veri sacerdoti.

Ed è così che Hana ha imparato lo “Shema Israel”, (Ascolta Israele), il Baruch Atá Adonai, (Benedetto sei tu, o Signore), e altre preghiere e canti della liturgia ebraica, che ha potuto insegnare ai suoi figli.

Circa 4 anni dopo, un uomo molto simpatico, che frequentava il posto, chiamò Hana per parlare, le suore lo chiamavano Heindrich, era molto caro a tutti. Egli conversando con la bambina raccontò come l’aveva salvata da sotto il corpo della sua povera madre dopo aver pregato per la prima volta nella sua vita. Da quel momento in poi si sviluppò una bella amicizia tra la bambina e l’ex soldato ed ex detenuto.

Nel tempo Hana è cresciuta, ha studiato ed eternamente grata a quelle anime meravigliose, ha proseguito la sua vita in Brasile, dove ha sposato Fabio D’Angelo Madeira, anch’egli ebreo, dal quale ha avuto i figli Yossef, Debora e Raquel, la più piccola. il cui nome rimanda alla matriarca di Israele, amata da Giacobbe, protagonista di una delle più belle scene d’amore della Torah.

In Israele, il Museo Yad Vashem ha deciso di onorare Yvonne Nevejean, presidente del servizio sociale per il benessere dei bambini, responsabile dell’invio di Hana al monastero, per merito del giovane soldato che preferì rischiare la propria vita per salvare la bambina, anche se poteva rappresentare per lui una morte dolorosa e orribile.

Oggi, all’età di 79 anni, accanto alla figlia Raquel e al genero Mordechai, Hana è lieta di raccontare la sua storia agli interessati, perché nonostante gli orrori che comportano la perdita dei suoi giovani genitori, rappresenta anche la vittoria d’amore, che nei loro pochi anni di vita hanno potuto sperimentare. Amore che prevede l’unione degli esseri umani di tutte le realtà, superando colori, bandiere e religioni.

Dtt.ssa Lella Battiato Majorana

Dtt.ssa Lella Battiato Majorana