Io caregiver di mio marito malato di Alzheimer a 43 anni. Ma ci hanno lasciati soli
Michela Morruto, moglie e madre coraggiosa, ha scritto «Un tempo piccolo» per i suoi due figli: «Racconto i nostri percorsi tortuosi perché tutti abbiamo bisogno di speranza»
Due anni di pellegrinaggio da un centro specialistico a un altro per avere una diagnosi. Il tempo dei lockdown durante la pandemia trascorso in totale solitudine, senza aiuto alcuno. Ma Michela Morruto non si è mai arresa all’Alzheimer che ha annebbiato i ricordi del marito prima del tempo. Perché Paolo Piccoli non aveva ancora 43 anni quando ha iniziato a scordarsi di andare a prendere i bambini a scuola, di fare la spesa, spesso anche di mangiare, e poi dimenticare dove aveva messo le chiavi dell’auto o il portafogli. E perdere colpi giorno dopo giorno, fino a non trovare la strada del ritorno se usciva da solo. Michela Morruto non si arrende neppure ora che tanti le chiedono aiuto, perché «non è facile destreggiarsi tra gli uffici della pubblica amministrazione, aprire le pratiche per l’invalidità, ottenere un po’ d’ascolto», spiega.
Lei e Paolo, che oggi ha 52 anni ed è stato ricoverato in un istituto, prima che la malattia prendesse il sopravvento hanno deciso di scrivere un diario per i loro bambini «Un tempo piccolo». I loro sono bambini che sono cresciuti in fretta. Il maggiore, Mattia, a 10 anni era già un caregiver per il suo papà e il presidente Mattarella per questo l’ha nominato Alfiere della Repubblica. «Ma queste sono cose che non si vorrebbero mai per i propri figli». Il piccolo solo da poco ha smesso di domandare «Quando torna papà». Michela, 50 anni, impiegata in uno studio di commercialisti, racconta la lotta che ha dovuto sostenere per trovare ascolto: «Mi ero accorta di stranezze già quando Paolo aveva 40 anni, piccole cose. Poi quando abbiamo cercato di capire di più dai medici, passavo io per quella un po’ strana, dicevano che era solo stress, stanchezza, gli davano ansiolitici. Ma di declino cognitivo nessuno parlava mai».
Il lockdown è stato uno tsunami. «Chiusi in casa, senza poter cantare nel coro, fare attività sportive, senza relazioni – continua Michela – è stato un disastro. La situazione è precipitata. La nostra battaglia oggi è quella di tanti che faticano a trovare ascolto. Non so se una diagnosi precoce avrebbe cambiato qualcosa, ma certo sarebbe stato diverso con un aiuto per assisterlo, percorsi meno tortuosi per avere la 104. Tutti hanno bisogno di una speranza. E ho pensato che parlarne e mettersi a disposizione poteva essere una cosa che leniva il nostro dolore. Perché l’unico modo di trovare un aspetto positivo in una situazione non bella è supportare gli altri». Ad oggi, la famiglia Morruto ha avuto il supporto della Fondazione ricerca cardiovascolare malattie neurodegenerative scorso 30 maggio, conclude Michela, «siamo arrivati alla senatrice Minasi grazie alla Associazione RaGi per le Demenze (https://www.associazioneragi.org/) e alla dottoressa Elena Sodano. Uno dei problemi irrisolti è che i caregiver sono lasciati soli».