Esperienze e testimonianze delle famiglie con persone Down

Paolo e Agnese si abbracciano come se si conoscessero da
sempre. Per volersi bene sono bastati pochi sguardi sotto le lenti
degli occhiali colorati. Li portano sul viso per i problemi alla
vista che colpiscono il 60% delle persone con sindrome di Down.
Presenti con le loro famiglie alla Nuvola di Fuksas, a Roma, per
la seconda delle due giornate della V Conferenza internazionale
sulla sindrome di Down, organizzata da Trisomy 21 Research
Society, nel corso della quale le sessioni di lavoro hanno messo
al centro l’incontro tra i ricercatori e i caregivers, con formula
originale ed efficace.
«Ho 18 anni, sono un cameriere e vengo da Genova», racconta
Paolo guardando suo papà Andrea, che ha appena ricevuto la
conferma che suo figlio ha superato l’esame per la qualifica
professionale.
«È importantissimo per noi partecipare a eventi come questo –
dice Andrea –. Qui si ha l’occasione di fare rete con i ricercatori
e soprattutto con le altre famiglie, e ci si sente meno soli»
sostiene Paola, mamma di Agnese, che ha 17 anni e studia
all’Istituto alberghiero. Con suo marito e il figlio più grande sono
arrivati a Roma da Venezia per partecipare alla Conferenza.
«Conoscere gli ultimi risultati delle ricerche, stare con le altre
famiglie è incoraggiante. Ci dà tanta speranza».
Ricerca e vita quotidiana, sono state le parole chiave delle
giornate della Conferenza, che hanno messo al centro il dialogo
senza filtri tra famiglie di pazienti, circa 400 persone da varie
parti del mondo, e gli oltre 500 ricercatori, medici ed esperti della
comunità scientifica internazionale.
Mentre nelle sale dedicate ai ricercatori si approfondivano gli
avanzamenti della conoscenza scientifica sulla sindrome per

migliorare la qualità della vita dei pazienti, nella “Family room”,
le famiglie hanno potuto informarsi e porre domande agli esperti.
Proprio nella “Family room”, troviamo Paolo e Agnese, in prima
fila con le famiglie. Tra i temi più sentiti delle sessioni mattutine:
invecchiamento e disturbi legati all’età adulta.
«Ho 31 anni e sono una ragazza Down – dice Giulia prendendo il
microfono, con la sua gonna colorata e i capelli biondi –, come
faccio a vivere più a lungo?» la mamma, seduta accanto a lei.
«Vorrei avere la soluzione – le ha risposto Tiziano Gomiero,
psicologo e pedagogista della Lega del Filo d’Oro di Trento –,
intanto posso dirti di camminare molto, ascoltare musica e fare le
parole crociate».
Al centro della sala c’è un papà che sta aiutando la sua bimba con
un cruciverba un po’ complicato. «Il 40% di coloro che si
prendono cura delle persone affette da sindrome di Down sono
parenti e amici. È centrale per la ricerca il coinvolgimento delle
famiglie », ha sottolineato Stefania Floris, Direttore sanitario
della Fondazione Anffas Onlus di Cagliari, presentando il
progetto Aida, per l’analisi predittiva delle demenze nelle
persone con Trisomia 21. Il timore più grande è quello della
solitudine.
«Quando parliamo con i medici di base spesso non otteniamo
niente – ha spiegato una mamma di Firenze –, c’è ancora troppa
poca conoscenza della sindrome e poca rete tra le famiglie. Spero
che da queste giornate possa nascere un gruppo per scambiare le
esperienze».
Accanto a lei un’altra mamma: «Mio figlio e mia sorella hanno la
sindrome di Down. Sono preoccupata, perché mia madre, se non
avesse noi, sarebbe abbandonata a sé stessa con una figlia Down
adulta». Un passo avanti è certamente il nuovo progetto di
mappatura dei centri di assistenza clinica per le persone con
sindrome di Down, presentato dall’Istituto superiore di Santità
ieri mattina da una delle curatrici, Tiziana Grassi.

L’altro tema affrontato è stato quello del lavoro. Il panel
specifico ha messo attorno allo stesso tavolo i responsabili
dell’Osservatorio dell’Associazione italiana per le persone Down
sul mondo del lavoro e gli stessi datori di lavoro.
Secondo l’Osservatorio, alla fine del 2023 erano 254 le persone
assunte regolarmente. Più del 70% degli inserimenti è in aziende
o in cooperative sociali. Come è accaduto per Mariangela, che
ha 25 anni e da un anno lavora al bar del Centro polifunzionale
dell’Università di Bari.
«Ho un contratto a tempo indeterminato – ha raccontato felice,
con i suoi capelli a caschetto –, il lavoro è una cosa
importantissima. Ogni giorno accolgo i clienti e collaboro per
allestire i catering. Siamo una vera squadra». Durante la
mattinata le famiglie hanno avuto anche la possibilità di
partecipare a laboratori pratici a stretto contatto con gli esperti su
diverse tematiche riguardanti la sindrome. Tra queste i metodi di
rianimazione pediatrica e la gestione dei comportamenti
problematici.
Nella grande hall della Nuvola dialogavano senza distinzioni
giovani ricercatori, primari, genitori, bambini e adulti, come
un’unica comunità. Una mamma sistemava con tenerezza un
cappellino viola sulla testa calva di sua figlia. Il pomeriggio è
stato dedicato a una grande plenaria, con l’opportunità, per le
famiglie, di interagire direttamente con i medici provenienti da
tutto il mondo. «Questi padri e madri, come noi, sono tutti dei
guerrieri, perché troppo spesso combattono soli – ha concluso
Andrea, il papà di Paolo guardando la sala piena –. Mio figlio ci
ha cambiato la vita. In meglio, certamente».

Il Rettore dell’Università La Sapienza di Roma Antonella Polimerni e il Presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco Robert Giovanni Nisticò. Presenti alla conferenza internazionale di Roma.

redazione@thevoicekw.com

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