Trattamento dei deficit cognitivi e nuovi farmaci: ricerca protagonista al forum di Roma. Le relazioni di: Eugenio Barone, Laura Cancedda, Filippo Caraci, Stefano Vicari.

Ha evidenziato il grande fervore di studi in tutto il mondo sulla
sindrome di Down la V Conferenza internazionale della Società
di ricerca sulla trisomia 21 (T21Rs) che celebrava anche il
decimo anniversario della “Trisomy 21 Reserìarch Society
(T21RS)” di Roma (5-8 giugno 2024).
«La ricerca scientifica – sostiene Eugenio Barone, capo del
Comitato organizzativo della Conferenza e docente di
Biochimica all’Università La Sapienza di Roma – riveste un
ruolo cruciale perché si occupa di comprendere, analizzare e
svelare i meccanismi alla base di una determinata condizione,
permettendo così di intervenire per migliorarla». Dal confronto
tra i circa 500 ricercatori e medici convenuti a Roma da 27 Paesi
di tutto il mondo sono emerse alcune linee che si sono intrecciate
e integrate: studio dei meccanismi molecolari alla base della
sindrome di Down, e modelli preclinici per identificare nuovi
bersagli farmacologici.
Avanzamento degli studi clinici nelle persone con sindrome di
Down, in relazione al possibile trattamento dei deficit cognitivi,
prospettiva un tempo nemmeno presa in considerazione,
accompagnato da un programma destinato alle famiglie.
Tra gli studi clinici: il possibile trattamento dei deficit cognitivi
nei bambini, il trattamento dei disturbi nella malattia di
Alzheimer associata alla sindrome di Down.
Tra i primi figura lo studio Icod, finanziato dall’Unione Europea,
che sta testando il farmaco AEF0217, presentato dal coordinatore

Rafael De La Torre dell’Imim (Istituto per la ricerca medica
Ospedale del Mare di Barcellona, Spagna).
«Il farmaco – chiarisce Filippo Caraci, docente di Farmacologia
all’Università di Catania, responsabile divulgazione del trial –
agisce a livello del recettore per i cannabinoidi e promuove un
miglioramento delle funzioni cognitive. Terminata un anno fa la
fase di sicurezza su 60 volontari sani, è in via di conclusione la
sperimentazione su 45 soggetti con sindrome di Down: a breve
avremo i risultati che ne confermano la sicurezza e le prime
prove di efficacia. Nel frattempo è già stata chiesta all’Agenzia
europea dei medicinali (Ema) l’autorizzazione per la fase 2 per la
verifica dell’efficacia, che si svolgerà a partire dal 2025 su 200
persone con sindrome di Downin dieci centri in Europa: Italia,
Francia e Spagna».
Un’altra sperimentazione clinica si sta avviando sotto la guida di
Stefano Vicari (responsabile dell’Unità operativa di
Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza all’Ospedale
Bambino Gesù e docente di Neuropsichiatria infantile
all’Università Cattolica di Roma): «Utilizziamo un farmaco
diuretico, il bumetanide, di cui si è vista l’efficacia a livello del
sistema nervoso centrale e ha migliorato le prestazioni cognitive
del topo geneticamente modificato con la sindrome di Down.
Volo è un doppio cieco e stiamo arruolando i pazienti, su base
volontaria delle famiglie (informazioni sono disponibili al
Bambino Gesù): abbiamo già venti tra bambini e ragazzi tra i 6 e
i18 anni, ma ne cerchiamo altrettanti in tutta Italia. Ci
ripromettiamo di avere i risultati da pubblicare nell’arco di due
anni».
Dall’altro lato procedono gli studi che guardano alla malattia di
Alzheimer, tra mille cautele. Infatti, riferisce Caraci, Andrè
Strydom (King’s College di Londra, Regno Unito) ha messo in
guardia dal trasferire automaticamente quello che si usa nei

pazienti con Alzheimer alle persone con sindrome di Down,
perché queste ultime hanno già mostrato scarsa tollerabilità, per
esempio, verso gli anticorpi monoclonali anti-amiloide (la
proteina che si accumula nelle cellule cerebrali nell’Alzheimer),
per cui bisogna procedere solo dopo accurate sperimentazioni.
Anche se, ricorda Caraci, esiste un vaccino anti-amiloide per il
quale è iniziato un trial di fase 1 con persone con sindrome di
Down. Di qui anche i consigli di Miia Kivipelto (Karolinska
Institutet di Stoccolma), che coordina diversi trial clinici
sull’Alzheimer, nel promuovere un intervento precoce e
multimodale nei confronti della sindrome di Down, che
comprenda non solo il farmaco, ma anche lo stile di vita, con
attenzione all’alimentazione e all’esercizio fisico, nell’ottica di
una medicina personalizzata.
Tra gli studi della scienza di base figurano invece i recenti
risultati (pubblicati sulla rivista scientifica Neuron) della
collaborazione tra Irccs Ospedale Gaslini di Genova e Istituto
italiano di tecnologia di Genova.
Nel laboratorio di Proteomica dell’ospedale, Andrea Petretto ha
fornito l’approccio tecnologico necessario a individuare geni,
trascritti e proteine caratteristici delle cellule cerebrali delle
persone con sindrome di Down. «Da qui – aggiunge Laura
Cancedda, responsabile dell’Unità sviluppo e patologie del
cervello dell’Iit – abbiamo potuto individuare nuovi geni
potenzialmente coinvolti nell’origine della disabilità intellettiva
che caratterizza le persone con sindrome di Down».
C’è un ulteriore interesse nello studio: « I nostri dati sono stati
condivisi su piattaforme pubbliche, a disposizione di tutti i
ricercatori».
Che l’intreccio tra ricerca di base e applicata sia fruttifero è
testimoniato proprio dal trial clinico dell’Ospedale Bambino

Gesù di Roma, il cui principio attivo è stato individuato anni fa
proprio dai ricercatori dell’Iit di Genova. «Senza dimenticare
però – puntualizza Vicari – che il primo obiettivo deve essere il
riconoscimento e l’accoglienza nella società delle persone con
sindrome di Down. Hanno capacità e competenze, provano
sentimenti, possono lavorare e raggiungere molte autonomie. Il
primo messaggio della Conferenza internazionale è sottolineare
la dignità delle persone con sindrome di Down. È comunque
positivo se, senza illudere né offendere nessuno, si può cercare di
migliorare le loro condizioni di vita».

redazione@thevoicekw.com

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