“Il più felice dei tre” al teatro L’Istrione

Al teatro L’Istrione di Catania con Valerio Santi e la regia di Riccardo Maria Tarci per “Il più felice dei tre” di Eugène Labiche

Una splendida e innovativa meta-commedia sull’amore … comico terapia!!!

Lella Battiato

Sul palco de L’Istrione: Francesco Russo, Marta Limoli

 Valerio Santi, Irene Tetto, Marina La Placa

 Roberta Andronico, Concetto Venti e Tino Mazzaglia.

Prosegue la stagione teatrale al Teatro L’Istrione di Catania con il penultimo appuntamento della rassegna, “Il più felice dei tre” di Eugène Labiche diretto da Riccardo Maria Tarci.

Una nuova rilettura della commedia, andata in scena con successo con un inizio bizzarro per farci entrare nel teatro dell’assurdo ed ecco che si apre il palcoscenico e grazie a un video si racconta la storia che precede lo spettacolo, una commedia nella commedia in cui gli attori non interpretano, ma il pubblico diventa protagonista.

Se tre è il numero pitagoricamente perfetto, sintesi del pari e del dispari, il regista Tarci, grazie ai suoi interpreti e a un irrefrenabile susseguirsi di equivoci e colpi di scena, entra nella commedia di Labiche, elevando il numero alla potenza, con un risultato di una commedia esilarante lungamente applaudita dal pubblico.

È universalmente noto per il ritmo vertiginoso che le vicende narrate (complicatissime) assumono e per la precisione meccanica ed infallibile del “congegno” comico che – inesorabilmente – mette a nudo, senza falsi moralismi, l’uomo contemporaneo alienato, con un pizzico di cinica spietatezza, spirito gretto, ipocrisia e non manca la corruzione della borghesia ottocentesca cui lui stesso apparteneva.

Petunia, la cameriera innamorata del suo focoso pompiere, interpretata abilmente da Irene Tetto, dà l’avvio alla meta-commedia accompagnata da tutti gli elementi “distintivi“ del classico triangolo (marito, moglie, amante), scintillante di buonumore e di spirito grazie al cast degli attori che con ritmi via via più incalzanti e dialoghi ricamati di motti e sottintesi graffianti, narrano di Alfonso (brillante con irriverente comicità Francesco Russo) marito tradito sia dalla prima che dalla seconda moglie Ermanzia (Marta Limoli, fatale e capace di mettere in atto la sua inimitabile forza legata agli intrecci) il cui amante è Ernesto (Valerio Santi, con le sue boutade teatrali offre al pubblico virtù terapeutiche per chi soffre di tristezza). Ma chi è il più felice dei tre?

Superficie minima della vita coniugale, il triangolo amoroso viene coniugato dal maestro del vaudeville per dar corpo, con irriverente comicità, a personaggi intrappolati nei loro ruoli, vittime inconsapevoli della “coazione a ripetere” che impedisce loro di svestire i panni del marito, della moglie e dell’amante.

Sulla giostra del quotidiano, a turno salgono figure strabilianti, che sconvolgono fatalmente la loro routine: una coppia di fidati domestici alsaziani (tra cui Concetto Venti) con alcuni … conti in sospeso; e come non notare Berta (Roberta Andronico), romantica cuginetta di Ernesto ed infine presenza in filigrana Isaura, la zia sorda e cieca sempre al corrente di tutto. E ancora sempre applauditi Marta Limoli, Marina La Placa e Tino Mazzaglia.

Ricordiamo che Labiche, commediografo francese dell’Ottocento, autore di vaudevilles (teatro comico inframezzato con ritornelli, canzoncine e musica) è anche l’iniziatore del Teatro dell’Assurdo e, nella sua carriera, ha scritto circa 174 opere e molto spesso gli venivano commissionate dalle compagnie di turno che a sua volta, nel giro di tre, quattro giorni, ricevevano poi il testo da mettere in scena, che comportava, per l’eccessiva premura, delle distrazioni che, il regista, ha saputo sfruttare ridefinendole come un gioco per divertire sia gli attori in scena che il pubblico.

La sua comicità crudele, un gioco (jeu de massacre) per massacrare a furia di risate la società borghese e il regista Tarci è riuscito a cogliere il lato del teatro cinico e satirico allo stesso tempo, mostrandoci la borghesia del suo tempo, con i suoi vizi, le sue ingordigie, i suoi egoismi.

Un divertentissimo vaudeville rivisitato in una chiave ancor più divertente, più moderna, pur mantenendo l’ambientazione, i modi, gli usi e i costumi appartenenti al fine ‘800. «Per fare rivoltare nella fossa i grandi autori non si deve fare un grande sforzo» sostiene Riccardo Maria Tarci che cura la regia dello spettacolo «Con“Il più felice dei tre” io invece voglio volutamente far rivoltare nella fossa il compianto e tanto stimato drammaturgo francese. Nel nostro tempo, Nella nostra società sempre più legata alla televisione e a tutte le distrazioni che ne conseguono, lo spettatore andando a teatro vedere un vaudeville (genere a mio avviso ormai superato) può solo restare con un sorriso sulle labbra ad aspettare il colpo di scena o chissà che, dunque per rendere nuovamente interessate e godibile questo genere teatrale bisogna inventarsi qualcosa».

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