ANORESSIA NERVOSA: CRITERI DIAGNOSTICI E TRATTAMENTO PSICOLOGICO

ANORESSIA NERVOSA: CRITERI DIAGNOSTICI E TRATTAMENTO PSICOLOGICO

Una patologia in crescita, soprattutto nella fascia prepuberale

Angela Ganci *

Anoressia nervosa: un male psicologico che si radica nel corpo e che porta lentamente alla morte dello spirito e del corpo stesso, nella pretesa illusoria di un controllo ossessivo sulla propria vita e di un aumento della sua qualità attraverso la restrizione calorica.

Ogni persona che soffre di anoressia lancia un messaggio ceh rimanda all’instaurarsi di una patologia dall’esito potenzialmente fatale, in cui grande ruolo gioca il corpo nelle distorsioni con cui è vissuto.

Secondo i dati del Ministero della salute del 2017 per anoressia e bulimia, negli ultimi decenni, si è verificato un progressivo abbassamento dell’età di insorgenza, con diagnosi sempre più diffuse prima del menarca, fino a casi di bambine di 8-9 anni.

L’esordio precoce comporta maggiori rischi per la salute, con danni permanenti secondari alla malnutrizione, soprattutto a carico dei tessuti che non hanno ancora raggiunto una completa maturazione, come le ossa e il sistema nervoso centrale.

Necessita quindi una diagnosi precoce che tenga conto dei criteri specifici del disturbo. Quali sono i criteri di individuazione di questa patologia e quali le prospettive di trattamento efficaci?

Da un punto di vista diagnostico il riferimento per gli addetti ai lavori è il DSM V, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, che individua i criteri specifici per poter fare diagnosi di Anoressia, nello specifico:

  • Restrizione dell’assunzione di calorie in relazione alle necessità, che porta a un peso corporeo significativamente basso nel contesto di età, sesso, traiettoria di sviluppo e salute fisica. Il peso corporeo significativamente basso è definito come un peso inferiore al minimo normale oppure, per bambini e adolescenti, meno di quello minimo atteso.
  • Intensa paura di aumentare di peso o di diventare grassi, oppure un comportamento persistente che interferisce con l’aumento di peso, anche se significativamente basso.
  • Alterazione del modo in cui viene vissuto dall’individuo il peso o la forma del proprio corpo, eccessiva influenza del peso o della forma del corpo sui livelli di autostima, oppure persistente mancanza di riconoscimento della gravità dell’attuale condizione di sottopeso.

Se volgiamo lo sguardo al mondo interno dei pazienti, nella prospettiva cognitivo/comportamentale, alla base di tutti i disturbi alimentari vi sarebbe la presenza di schemi e pensieri disfunzionali riguardanti se stessi e il rapporto con il proprio corpo: l’idea, condivisa dalla maggior parte delle persone che ne soffrono, è che il valore personale dipenda dal peso corporeo, che si è validi ed amabili solo se magri.

Tale interpretazione psicologica non trascura la complessità del disturbo alimentare, per la cui insorgenza e mantenimento la teoria cognitivo/comportamentale considera predisposizioni genetiche e familiari e condizionamenti sociali che fanno della ricerca della magrezza uno standard di perfezione da raggiungere.

Alla luce dell’eccessiva importanza del peso quale qualificatore dell’esistenza, la terapia psicologica farà perno sull’analisi e la ristrutturazione delle credenze disfunzionali legate all’amabilità della magrezza,nonché alla valutazione dell’impatto sociale del ricorso esasperato al modello, frutto di modelli culturali disfunzionali, strutturandosi in tre fasi.

Nella prima fase di tipo psico/educazionale, l’aspetto predominante è posto sull’analisi delle conseguenze mediche e psicologiche della restrizione alimentare, al fine di puntare sulla ripresa di un’alimentazione regolare, monitorando la frequenza, la qualità e la quantità del cibo, avvalendosi a tal proposito di figure di carattere medico.

Nella seconda fase, l’analisi degli aspetti cognitivo/comportamentali che contribuiscono al mantenimento del disturbo, tende a modificare i pensieri disfunzionali responsabili della bassa autostima e della disregolazione alimentare, sostituendoli con pensieri più razionali e produttivi, ad esempio al pensiero negativo “Devo essere magra per piacere” farà gradualmente posto un pensiero del tipo “Non posso misurare la mia bellezza sulla magrezza, ho tante altre qualità che mi rendono unica e speciale”.

La terza fase della terapia è incentrata sulla prevenzione delle ricadute allo scopo di mantenere nel tempo i cambiamenti prodotti durante il trattamento.

La terapia dei disturbi alimentari deve essere concepita, quindi, in termini interdisciplinari ed integrati: poiché in essa si trovano coinvolti aspetti medici, psicologici, familiari e sociali, è essenziale il coinvolgimento in parallelo di differenti figure professionali, psicoterapeuti, nutrizionisti, endocrinologi, psichiatri, … che collaborano fin dall’inizio per integrare le proprie conoscenze in un progetto terapeutico “unico” nel rispetto della complessità della patologia alimentare e dell’unicità della persona.

* Psicologo Psicoterapeuta Giornalista Pubblicista

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