Media e identità di genere
Media e identità di genere
A Palermo un evento formativo contro le discriminazioni
Angela Ganci
Discriminare, nel senso positivo di distinguere se stessi dal mondo esterno, individuandosi in quanto persona, con determinate caratteristiche fisiche, psicologiche e sessuali (come nella distinzione maschio/femmina); discriminare, nel senso negativo di formazione dei pregiudizi sulle persone, sulla base delle medesime caratteristiche differenzianti un individuo da un altro.
Quale ruolo prezioso riveste il clinico e il giornalista nella diffusione di una deontologia della discriminazione in senso positivo, che non fomenti pregiudizi e visioni “di parte”, ma osservi, riconosca e comunichi le differenze di genere in quanto connaturate all’essere umano, fonte di arricchimento per le relazioni?
Questo il quesito a cui si è cercato di rispondere in occasione del Corso di Formazione “Media e identità di genere. L’informazione che non discrimina” tenuto a Palermo, organizzato dall’Associazione Stampa Romana, valido come momento formativo per i giornalisti.
Un momento di intenso dibattito scientifico dove ai temi della costruzione dell’identità di genere, da un punto di vista squisitamente psicologico, si sono alternate riflessioni sul linguaggio mediatico più opportuno per veicolare un’informazione non discriminatoria, nel rispetto delle differenze.
“Il Corso, a partire dalla conoscenza psicodinamica della costruzione dell’identità, si propone una riflessione sulla questione deontologica, sulla terminologia e sul linguaggio mediatico utilizzato per riferirsi a queste tematiche. Il linguaggio, infatti, può sciogliere, mantenere o produrre ambiguità, confusioni ed equivoci di cui si nutrono i pregiudizi e gli stereotipi più radicati” spiegano Monica Pepe, giornalista Zeroviolenza Onlus, partner dell’evento, e Tiziana Barrucci, giornalista responsabile formazione per Associazione Stampa Romana.
Un linguaggio che riflette i processi di sviluppo del bambino, la scoperta del suo essere maschio o femmina, recuperando il concetto positivo di discriminazione come differenza irripetibile tra ciascun essere umano.
“La costruzione del senso di identità parte da un livello corporeo fino a un livello psicologico: in questo versante è essenziale che i genitori non interpretino determinati comportamenti che appaiono, a un livello clinico, rischiosi da spiegare senza il rischio di interpretazioni soggettive e mistificatorie della realtà – sottolinea Simona Di Segni, psicoanalista Associazione Italiana di Psicoanalisi – Per esempio se un bambino a due anni mette il rossetto ciò non deve allarmare il genitore, poiché esso non è un indicatore di omosessualità; infatti si tratta plausibilmente di una modalità di conoscenza/esplorazione del mondo, di riconoscimento delle differenze, da cui deriva il Rispetto per l’Altro, mentre ci sarebbe da chiedere quali angosce si celano dietro alla valutazione negativa da parte dei genitori di un comportamento di tal tipo, in quanto vergognosamente e scandalosamente discontantesi dalla norma eterosessuale”.
“Ecco allora l’importanza dell’accettare di non capire e di non sapere, come spesso risulta difficile di fronte ad eventi drammatici, come nel dramma della gelosia, che spinge a chiedersi le motivazioni del gesto omicida di chi risulterebbe insospettabile autore di reato – continua Di Segni -. Ecco il compito dell’accettazione di ciò che è ignoto e “diverso”, che interessa tanto il clinico quanto il giornalista, chiamati a una neutralità di difficile gestione, a un’informazione di utilità sociale, essenziale, descrittiva, esente, per quanto possibile, da pregiudizi, per chi appartiene a un determinato orientamento sessuale. Da anni conosciamo il rischio del pregiudizio nella cosiddetta omofobia interiorizzata per cui la paura sociale del “diverso” viene condivisa dall’adolescente o adulto che provano attrazione per lo stesso sesso, divenendo negazione dell’impulso sessuale/amoroso, discriminazione e violenza rivolta verso se stessi. Ecco che, a mio avviso, sarebbe più corretto utilizzare termini neutri e maggiormente aderenti a una visione non pregiudizievole della realtà, come orientamento amoroso, non sessuale, per non confondere la parte con il tutto, e persona omosessuale piuttosto che gay o lesbica, poiché il linguaggio oggettiva il mondo e lo connota in senso negativo o positivo. Similmente, termini politicamente corretti come diversamente abile dovrebbero essere evitati perché, a mio avviso, veicolano agevolmente il pregiudizio della minore abilità della persona”.
Un linguaggio capace di trasmettere fatti e non interpretazioni, un linguaggio rispettoso dell’alterità, soprattutto nella sfera sessuale e sentimentale in cui si esprime la propria personalità e spesso si decide della propria felicità.
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