Una Bella Addormentata nuova propone linguaggi coreutici, esegetici e interpretativi moderni interessanti.
Una Bella Addormentata nuova propone linguaggi coreutici, esegetici e interpretativi moderni interessanti.
Carlo Majorana Gravina
foto Roselina Garbo, Giacomo Orlando
Tonico e ben affiatato, il corpo di ballo della Fondazione Teatro Massimo di Palermo ha portato al “Bellini” di Catania il famoso, celebrato balletto La bella addormentata (Spjaščaja krasavica), fiaba della tradizione europea ripresa nel libretto di Ivan Vsevoložskij (prologo e tre atti) ispirato alla versione di Charles Perrault, cui fa un esplicito omaggio nel terzo atto; musica di Pëtr Il’ič Čaikovskij.
La versione prodotta dall’ente palermitano si è avvalsa della coreografia di Matteo Levaggi, scene Antonio Di Miceli e i costumi disegnati e realizzati dagli allievi del master di costume dell’Accademia Costume & Moda: Cristina Capuani, Flavia Galinari Zanin, Annabelle Gotha, Sarah Micarelli, Gabriele Porrelli, Yiao Tian, Tatjana Zdiara, Lan Zhang, Hong Zhang, Qi Zhang coordinati da Andrea Viotti. Completano il colophon della mise in scène: luci Fabio Sajiz e l’Orchestra del Teatro Massimo “Bellini” diretta da Mikhail Agrest.
Levaggi, con coraggio e determinazione, ha proposto una Bella addormentata originale, innovativa che a seguito di “un percorso personale di studio, guardando a questo capolavoro con occhio del tutto personale, senza alterarne la struttura originale, ha immaginato la principessa Aurora accudita e cresciuta a Palazzo dal paggio di corte scopre, nel famoso Adagio della Rosa, il risveglio di primavera adolescensiale con annesse pulsioni sessuali che la accenderanno d’amore verso il principe Désirè”.
Bruno Bettelheim, in Il mondo incantato: uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, vide questa fiaba come un percorso iniziatico giovanile, di preparazione a mutazioni e cambiamenti: il sortilegio di condanna è l’adolescenza; maledizione rimarcata dal sangue che vien fuori dalla ferita (allusione al sopraggiungere del menarca) di origine ancestrale.
Il principe azzurro, l’unico a poterla risvegliare aprendola all’amore, per Bettelheim (ma non per Levaggi), è figura accessoria di un racconto che espone tutte le fasi di vita di una donna: infanzia, adolescenza e giovinezza (la principessa), età adulta e fecondità (la madre), vecchiaia (Carabosse).
Levaggi, viceversa, ha soppresso la coppia di sovrani, genitori e generatori di Aurora, la cui presenza scenica in effetti è pleonastica, stagliando sul fondo della scena due troni vuoti; ancora riprende e moltiplica l’intuizione felice di Marius Petipa, sostenuta da ragioni musicologiche, di far danzare il personaggio Carabosse en travesti (1890), assegnando indifferentemente ruoli a danzatori di entrambi i sessi: non soltanto la Fata Carabosse, come da tradizione (Vincenzo Carpino, poi Riccardo Riccio), ma anche quella dei Lillà, interpretata da Andrea Mocciardini.
Molte versioni memorabili hanno giocato sull’ambiguità della scelta coreografica, due importanti in controtendenza: Zizi Jeanmaire (1990) e Carla Fracci (2002). Fondamentale, per le produzioni occidentali, aggiungiamo, “la versione nurreeviana con il ruolo del protagonista maschile arricchito di passi e coloriture psicoanalitiche” (Elisa Guzzo Vaccarino).
Levaggi è entrato in partita, avvalendosi anche delle particolari invenzioni costumistiche approntate con tocchi di ironica originalità alternate e redigote: solo Aurora indossa il tutù.
Eppure, nella sua creazione, Aurora (Romina Leone, secondo cast Yuriko Nishihara) è un’orfana, libera e intraprendente come una ragazza contemporanea, che vive in un incantevole palazzo con un paggio (Alessandro Cascioli, secondo cast Giovanni Traetto), mentre il principe è Michele Morelli (secondo cast Alessandro Cascioli): lei vuole decidere liberamente della propria vita, senza bisogno di una Fata: per questo si addormenta, pungendosi con un mazzo di rose, in un universo in cui le fate sono boccioli di fiori. Tutt’intorno molti personaggi en travesti.
Le concrezioni di Levaggi hanno reso una versione nuova, non da tutto il pubblico condivisa.
Irrinunciabile la direzione d’orchestra di Mikhail Agrest. Il maestro russo ha interpretato con misura, impeto e competenza i tagli alla partitura apportati da Levaggi; l’orchestra, obbedendo puntuale al suo gesto ha contribuito alla efficace nuova edizione del celeberrimo Bella Addormentata di Čaikovskij.
Il “Bellini” di Catania, con questo spettacolo, prosegue nella collaborazione sinergica con il Teatro Massimo di Palermo, per «fare rete e circuitare nell’isola la grande lirica e la grande danza – chiosa il sovrintendente etneo Roberto Grossi –, base della sinergia sempre più stretta, avviata da tempo tra il “Bellini” e il Massimo di Palermo: un obiettivo concreto e ambizioso che stiamo focalizzando con il sovrintendente Francesco Giambrone per tradurlo in azioni coordinate, al servizio di un più vasto pubblico di residenti e turisti. Non solo scambio reciproco di produzioni, ma realizzare spettacoli da portare in tour nel territorio regionale, andando avanti nella via intrapresa allestendo insieme nel 2016 “La Traviata” al Teatro Antico di Taormina. Una via che potrebbe portarci lontano, oltre lo Stretto, o addirittura all’estero, per farci ambasciatori dell’eccellenza siciliana».
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