Grande cultura a Catania… e prima di Adelson e Salvini, opera di esordio di Vincenzo Bellini, in scena al Teatro Massimo “Bellini”

Grande cultura a Catania… e prima di Adelson e Salvini, opera di esordio di Vincenzo Bellini, in scena al Teatro Massimo “Bellini”

Carlo Majorana Gravina – foto Giacomo Orlando

 

A Catania nel corso dell’ultima settimana di settembre, tra il 21 e il 28 col leitmotiv in sottofondo delle interessanti iniziative Wondertime, si è respirata, sotto il profilo culturale, aria fina di alta montagna per merito delle maggiori istituzioni culturali cittadine: l’università e il Teatro Massimo Bellini.

Si è iniziato con la due giorni “Il teatro di Bellini, spettacolo, prassi esecutiva, multimedialità”, organizzata da: Disum (Dipartimento Scienze Umanistiche), Fondazione Bellini,  Centro Documentazione Studi Belliniani, e il Teatro Massimo “Bellini” che ha richiamato studiosi e musicologi anche stranieri, invitati e coordinati dal comitato scientifico (Fabrizio Dalla Seta, Maria Rosa De Luca, Graziella Seminara), ospitati nel coro di notte del Monastero dei Benedettini, poi al foyer del Teatro Massimo.

A seguire, domenica 23 la prima di Adelson e Salvini, per terminare il venerdì successivo con “Sharper.it/Sharper Catania”/”Metro di Scienza”/”I colori della Scienza” promosso da Laboratori Nazionali del Sud, Università di Catania, Inaf, Ingv, Infn sezione di Catania, Centro siciliano Fisica nucleare e Struttura della Materia, Cnr – Imm, Fce-Metro e Officine Culturali, coinvolti oltre 20 partner cittadini. Un evento che, dal pomeriggio di venerdì 28 fino a notte fonda, ha richiamato in 17 luoghi della città migliaia di cittadini, bambini e ragazzi.

Il mio inossidabile ottimismo mi faceva pregustare almeno un pezzo sul “Domenica” del Sole24ore che, oltre tutto, si stampa a Catania; invece, solo notizie sul quotidiano locale, seppur vergate dalla raffinata penna illuminista di Sergio Sciacca ed altri, secondo il tradizionale brand cronicistico  de La Sicilia, per il resto suffuru (zolfo)! conforme al consueto modello sabaudo per il quale Sud e Sicilia sono solo da depauperare e denigrare, mai valorizzare.

L’Adelson e Salvini portata in scena dal Teatro Massimo “V. Bellini”, compendia e condensa oltre trent’anni di studi e  ricerche musicologiche  ad altissimo livello e, per molti aspetti, rappresenta una prima assoluta: si tratta del terzo step dell’operazione culturale avviata due anni fa assieme alla Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi, eseguita in forma di concerto nel 2016 al Barbican Center di Londra e poi, con scene costumi e regia teatrale, il 9 novembre al Teatro “Pergolesi” di Jesi.

Prima di addentrarci “sul pezzo” va dato merito a Casa Ricordi che nel 2001, bicentenario della nascita di Bellini,  ha avviato il progetto dell’Edizione critica delle opere del Cigno catanese; iniziativa all’interno della quale, per dirla con Giuseppe Montemagno, “Adelson e Salvini rappresenta forse il ‘cantiere’ più appassionante”, assegnato a Candida B. Mantica, la cui edizione richiede un periodo di studio e preparazione “Non prevedibile”.

Si tratta dell’opera di esordio di Vincenzo Bellini: la tesina di diploma con la quale il nostro si licenziava dal Real Collegio di Musica San Sebastiano di Napoli; “la riuscita di quest’opera – è Bellini che scrive a Luigi Remondini (30 luglio 1831) – il Premio destinato dal Re, che consistea nell’onore di scrivere un’opera nel Real teatro di S. Carlo”.

È impressionante l’impeto giovanile e la sicurezza nei propri mezzi, di Bellini: lavora su un libretto già musicato da un autore di successo (Valentino Fioravanti autore di oltre 80 opere) realizzando uno spartito che lo oscura: affascinato dalla storia, prende il rischio del confronto.

La trama, tratta dal romanzo breve di François Thomas Marie de Baculard d’Arnaud (1772), intreccia sentimenti e valori elevati e bassi, sul contrasto tra socialità e impulsi istintivi irrefrenabili che agitava il pensiero filosofico di J. J. Rousseau.

Ultima nota: Bellini compose per il teatrino del conservatorio, per un’esecuzione degli allievi: poiché all’epoca le donne non andavano in scena,  i ruoli femminili furono composti per voci di contralto (castrati o controtenori); unico tenore Salvini; gli altri ruoli maschili per voci di basso, a rimarcare il noir della storia.

Proprio gli intrighi della trama e il mestiere di Salvini hanno suggerito al regista Roberto Recchia una scenografia giocata su riproduzioni delle opere di William Etty, pittore inglese coevo di Bellini, “che con la sua ossessione per il nudo e le tele sovente non terminate ben traduce i tormenti folli di Salvini. Anche i costumi sono stati pensati come emanazioni del pennello del pittore ottocentesco”. Una scelta cólta non del tutto comprensibile al grosso pubblico, che Recchia ha condiviso con lo scenografo Benito Leonori e la costumista Catherine Buyse Dian (assistenti: alla regia Alessandro Idonea, alle scene Lodovico Gennaro, ai costumi Giovanna Giorgianni).

L’Adelson e Salvini andata in scena ha, quindi, un pregresso filologico interessantissimo a cominciare dalla magnifica sinfonia ouverture sconosciuta su questa partitura sino al 2001, nella quale già si avverte la maturità del giovane compositore e la sua padronanza dei mezzi espressivi e delle parti orchestrali. Le opere successive, dieci in tutto, beneficeranno di contributi tratti da questa opera prima, la cui partitura Bellini riprese più volte, rimaneggiandola: rispetto alla prima versione in tre atti, addirittura, la ridusse in due con un’anticipazione di modernità sorprendente.

Colpo d’ala del giovane compositore è il parlato, alla maniera del dell’opera buffa settecentesca e dell’opéra comique francese, in lingua partenopea, soprattutto quello del personaggio di Bonifacio che, come acutamente rileva Montemagno, ripropone la maschera di Pulcinella, “scaltro e sempre affamato me e prodigo di saggi consigli, tanto da farlo diventare autentico deus ex machina  di un gliuommero apparentemente impossibile da dirimere”.

Certo è singolare che un personaggio, Salvini, che tiene agli alti valori dell’amicizia abbia nascosto le lettere che il suo amico e protettore ha inviato alla sua promessa sposa che a sua volta, turbata, interpreta male il suo silenzio epistolare, ma la lirica è stracolma di incongruenze.

Cast, orchestra e coro sono stati all’altezza dell’operazione culturale e musicale su un testo che ha pochi riferimenti di confronto. Su tutti giganteggia la direzione e l’orchestrazione dell’esperto Fabrizio Maria Carminati che ha letto il testo teatrale e musicale con appassionato, sapiente, felice equilibrio che ha trasmesso a tutta la compagine.

Nei ruoli principali: le mezzosoprano José Maria Lo Monaco (Nelly), Lorena Scarlata (Fanny) e Kamelia Kader (Madama Rivers); il baritono Carmelo Corrado Caruso (Adelson), il tenore Francesco Castoro (Salvini), i bassi Clemente Antonio Daliotti (Bonifacio), Giuseppe De Luca (Struley), Oliver Purchauer (Geronio). Orchestra e Coro del Teatro Massimo Bellini; maestro del coro Luigi Petrozziello.

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