Teatro Zo Catania, in scena “L’ultima cena” firmata da Riccardo Lanzarone, una rilettura che veste il teatro come arte per trasmettere valori sociali

Teatro Zo Catania, in scena “L’ultima cena” firmata da Riccardo Lanzarone, una rilettura che veste il teatro come arte per trasmettere valori sociali

Riparte la rassegna “Altrescene” con un tema di attualità vittima/carnefice

Lella Battiato Majorana

 

Suscitando interesse ed emozione riparte con “LUltima Cena”, riparte Altrescene, la rassegna dedicata alle arti sceniche contemporanee (teatro, performance, danza, circo contemporaneo) che è uno degli assi portanti delle attività di programmazione multidisciplinare del centro culture contemporanee Zo di Catania. Un contenitore multiforme, Altrescene, che oltre al cartellone di programmazione, accoglie e promuove anche altre fasi della creazione: dalle residenze di creazione, a laboratori workshop, dagli incontri con gli autori alle produzioni originali. La rassegna prevede un cartellone di dieci spettacoli, da gennaio sino a maggio.

 

“Recentemente riconosciuto dal ministero quale “unico organismo di programmazione multidisciplinare in Italia”, chiarisce Sergio Zinna, direttore artistico del Centro Culturale, parte da una considerazione, sulla dicotomia fra teatro e pubblico, in prospettiva della relazione con le nuove generazioni. Continua Zinna affermando “le scelte effettuate si muovono fra compagnie di affermata fama e artisti locali di certa efficacia”.

 

La pièce scritta e diretta da Riccardo Lanzarone, riapre le scene ,

 sul palco Lanzarone e Feliciana Sibilano,) – una produzione Cantieri Teatrali Koreja, portata in scena con il contributo del Festival Internazionale Castel Dei Mondi sostegno MatTeatro e in collaborazione con la Rete Latitudini.

 

Lo spettacolo emozionante è il secondo capitolo della “La trilogia dell’attesa”, con la partecipazione in video di Michele Sinisi, musicato di Giorgio Distante, vuole indagare i momenti di stasi, i luoghi di blocco, i ruoli di potere, le potenziali vittime e i possibili carnefici.

 

In Codice Nero, il primo capitolo, affronta il fuoco dell’operazione che si concentrava sulla violenza involontaria (il medico pedina della sanità, che rischia di uccidere o colpire per una mancanza dell’istituzione Sanità), nell’Ultima Cena invece, si vuole conoscere la sensazione del probabile colpevole e la voglia di vendetta della presunta vittima.

L’Ultima Cena prende in prestito la figura del torero avvolto e protetto dal suo “Traje de Luces”, la divisa dorata, per indagare come vive le sue ultime ore da prigioniero un uomo accusato di un reato. Morte o resurrezione? Lo spazio in cui si muove il protagonista è a metà tra una cella d’isolamento di una prigione e la cantina di un appartamento, dove sentire il disorientamento tipico dell’ostaggio e l’abbandono della giustizia nei confronti del prigioniero. Siamo nel 2027 in un futuro dove sarà legittimo farsi giustizia da sé, dove non servono prove schiaccianti per condannare una persona, ma solo il denaro per sovvenzionare strutture private che smaltiscono il crimine uccidendo i presunti colpevoli in sole 24 ore.

L’attenzione si focalizza in particolar modo sulla condizione del prigioniero/ostaggio, sull’attesa all’interno di una cella.

Incontri di  musica che racchiudono il concetto di energia e forza vitale per trasformare le proiezioni inconsce ancestrali in un ponte articolato tra Io, Super-Io e inconscio. Una scelta registica che riesce a cogliere il malessere della società odierna e si inserisce nella realtà odierna piena di ambiguità  e contraddizioni.

Luci e scene  di Michelangelo Volpe, costumi di Lilian Indraccolo, video di Zerottanta Produzioni, voce bambina di Elisabetta Guido.

 

 

L’obiettivo, di Altrescene 2019, osserva Zinna “parla degli uomini con i disagi, le perversioni, i sogni le brutture che viviamo tutti in questa epoca stratificata e complessa che si muove a una velocità spropositata per essere colta nella sua globalità da cui usciamo monchi, inadeguati. È un quadro paradossale, ma realistico, in cui l’arte performativa traduce in simbolismo la banale quotidianità, affinché il rito sociale possa ancora compiersi”, conclude “l’arte teatrale sta assumendo sempre più vicina al puro intrattenimento e sempre meno arte sociale”.

 

 Un affiatato cast si sussegue nel corso della rassegna da Saverio Tavano, Chiaraluce Fiorito, Francesca Auteri e Salvo Gennuso, Sabrina Vicari e Federica Aloisio, Rosario Palazzolo e Filippo Luna, Antonio Rezza e Flavia Mastrella, Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco, Dario Deflorian e Antonio Tagliarini, Turi Zinna.

 

 

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