Una Russia tormentata e introspettiva per il secondo concerto della stagione del “Bellini” di Catania

Una Russia tormentata e introspettiva per il secondo concerto della stagione del “Bellini” di Catania

Carlo Majorana Gravina – foto Giacomo Orlando

 

Il “Bellini” ha ospitato il direttore d’orchestra tedesco Eckehard Stier esponendo, solista nella circostanza, uno dei suoi “gioielli”: il primo violoncello Vadim  Pavlov.

Nella seconda metà dell’Ottocento, anche l’impero russo volle promuovere una musica “nazionale”, stessa istanza culturale che fu di altre nazioni fin dal secolo precedente. Fu un’operazione di forte impatto che aprì un dibattito ancora oggi vivo, sollecitato anche dall’evoluzione e gli sviluppi del romanticismo che inclinava da tempo a recuperare musiche e canti del folklore popolare.

La vastità dell’impero russo e le realtà musicali e culturali, al suo interno e ai suoi confini, aprì una grande querelle sui criteri estetici, in definitiva irrisolta, tra nazionalistici e filo-occidentali. Poi la rivoluzione di ottobre, con la rigidità inevitabile delle dittature, inclinò per il primo sino a decretare una decisiva messa al bando, per un lungo periodo, di composizioni musicali universalmente riconosciute come opere d’arte.

In questo notevole concerto, abbiamo ascoltato l’autorevole esponente filo-occidentale Pëtr Il’ič Čaikovskij, in due partiture raramente visitate: il valzer dall’Evgenij Onegin e le Variazioni su un tema rococò per violoncello e orchestra; la Sinfonia n. 10 in mi minore del nazionalistico Šostakovič.

Del primo sono famosissimi e molto celebrati i valzer che inserì nei suoi balletti e nelle sinfonie: una cadenza al suo tempo à la page, nata per essere danzata,  il cui ¾ si differenzia dal tono, climat e intento delle mazurke.

Il valzer inserito nell’opera lirica Evgenij Onegin ha la lievità necessaria per sottolineare la futilità del gesto e dell’ostentazione del protagonista: una lievità maliziosa che prelude allo sviluppo tragico della vicenda di chi, volendo essere padrone del proprio destino, sarà punito per la presunzione e precipitato nel dramma e nell’angoscia .

Sia in questa composizione che nelle Variazioni, il musicista di Kamsko-Votkinsk volle un’orchestra a ranghi ridotti.

Il secondo brano, dedicato al violoncellista Wihelm Fitzenhagen, ha ben altra struttura, di tipo accademico, tutta tesa ad evidenziare il virtuosismo e le capacità espressive dello strumento e dell’artista solista, inventando un gioco di rimandi felicemente efficace nelle variazioni su tema.

Qui Čaikovskij, come solito nelle musiche per orchestra e soli, sonda le potenzialità dei legni sino all’estremo: vuole tutto dagli strumenti e dagli esecutori. In questo, Vadim Pavlov è stato notevole e ammirevole, distendendosi con agilità e virtuosismo sulla tastiera, manovrando l’archetto con sapiente efficacia.

Al termine delle Variazioni, eseguite nella loro versione originale, Pavlov, applaudito lungamente e calorosamente dal pubblico, ha concesso due bis tratti dal vasto repertorio russo,  sottolineando, con allusiva eleganza, quanto la musica russa ha significato e prodotto nel repertorio classico. Stier, riconoscendo e apprezzando la felice qualità e quantità tecnico-artistica del solista, gliene ha dato spazio.

Con la sinfonia di Šostakovič, autore del quale Stier può essere detto uno specialista, il direttore è salito in cattedra conducendo l’intero organico sulle impervie sonorità costruite sui tormenti e le inquietudini dell’autore. Composizione accademica, così come le Variazioni su un tema rococò di Čaikovskij, nella struttura e nelle sonorità è tributaria di Mahler, come le Variazioni di Čaikovskij rimandano a Mozart.

Ma se la magistrale capacità costruttiva ed espressiva del compositore austriaco ci ha lasciato pagine sinfoniche memorabili ed esemplari, nell’imponente Sinfonia n. 10 di Šostakovič abbiamo un che di irrisolto, quel non finito grande e inarrivabile dei Prigioni di Michelangelo che resta sospeso in sala a interrogare e riflettere tra il pubblico.

L’opera è del 1953, anno della morte di Stalin, ma solo nel 1956 il nuovo capo dell’URSS Nikita Chruščëv denuncerà crimini e diktat del predecessore, che tanti problemi patemi e angosce avevano procurato al musicista, consentendo una svolta all’arte russa; Il new deal sovietico, timidamente new, diede il destro al musicista togliersi alcuni sassolini dalle scarpe e rimproverare, pure sulla Pravda, formalismi e povertà ideale dell’ortodossia musicale sovietica.

Considerando gli eccessi e i paradossi di quella, come di tutte le dittature, comprendiamo gli stati d’animo che accompagnarono e sconvolsero gran parte della parabola musicale di Šostakovič, per le pressioni subite nelle “congiure di palazzo” ordite dall’invidia degli altri musicisti.

Nella X sinfonia, il primo tempo, considerato la “migliore pagina sinfonica dell’autore russo”, inizia, quasi afasico, in sordina per crescere in un corpo centrale altamente drammatico con sonorità ambigue, risolte nel finale con acuto senso di prostrazione. Nel  breve grandioso secondo tempo c’è una specie di contrappunto a melodie russe; nel terzo molti rimandi al primo tempo, mentre il tema dello scherzo del secondo viene ripreso, meno furiosamente, nell’andante allegro del quarto.

L’orchestra è stata chiamata ad una coralità complessa, alternata dai momenti speciali nei quali ora i fiati, ora le percussioni, ora i tutti  sono stati sollecitati da una direzione attenta ed efficace, dando luogo a una prova memorabile molto apprezzata dalla sala.

 

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