Una strana polemica vitivinicola

Una strana polemica vitivinicola

Carlo Majorana Gravina

 

Il senatore pugliese Dario Stefàno (PD), con un’interrogazione al ministro delle politiche agricole Teresa Bellanova (Iv) ha sollecitato un intervento di censura sull’autorizzazione data dalla Regione Siciliana, il 9 agosto 2019, alla coltivazione del vitigno “primitivo” in Sicilia.

Stefàno, già assessore regionale all’agricoltura in Puglia nel governo Vendola, stuzzica pure il presidente regionale Michele Emiliano (PD), che trattiene per sé la delega all’agricoltura, tirandolo per la giacchetta. Sembra dire Vendola, quello sì che era un vero uomo, non tu!”. Carlo Goldoni avrebbe scritto una commedia (titolo La baruffa vignaiola): Lino Banfi, Checco Zalone, Rocco Papaleo e altri bravi attori pugliesi e di zona, ne assicurerebbero il successo.

Dove sta la questione? Nel 2009 il Ministero per le Politiche Agricole, ministro il leghista Luca Zaia, con apposito decreto, aveva autorizzato la coltivazione del primitivo in Abruzzo, Basilicata, Campania, Lazio, Sardegna e Umbria; ancor prima, anni ’90, il ministero delle Politiche Agricole aveva progettato e finanziato la sperimentazione del primitivo in Sicilia, affidandola all’allora Istituto regionale Vite Vino, oggi Vino e Olio di Sicilia.

Con il regolamento n. 1308/2013, l’Unione Europea fissò, a partire dal 1° gennaio 2016, i criteri di “autorizzazione” per l’impianto di nuovi vigneti, nel limite dell’1% della superficie vitata nazionale. Bellanova il 13 febbraio di quest’anno ha pubblicato la guida AGEA “Autorizzazione impianto vigneti 2020” (circolare AGEA  n.11517 del  13 febbraio 2020).

La Regione Siciliana, l’anno scorso, ha ripreso il dossier, autorizzando la sperimentazione, che nel Marsalese sta dando risultati più che soddisfacenti, per la manifestazione di interesse di alcune cantine siciliane, alla coltivazione di otto vitigni, tra cui il primitivo.

La Sicilia, con 97.063 ettari, è la regione più vitata d’Italia; seguono Veneto (94.291) e Puglia (88.417), ma indignarsi per ipotetici 900 ettari di impianti nei quali la varietà primitivo potrebbe rappresentare poco più del 10% non è serio.

Eppure. “È da considerare un abuso – dice e scrive Stefàno -, una insopportabile mistificazione che offende le autoctonie, la storia produttiva e la tradizione di un intero territorio. Ho depositato un’interrogazione urgente al ministro Teresa Bellanova perché si attivi al fine di rimediare ad un provvedimento varato dalla Regione Siciliana che rompe quel legame tra storicità e produzione nei territori e di cui il vino è, e deve continuare ad essere, espressione. Con questa interrogazione, invito pertanto il ministro a dare urgentemente risposta non solo ai produttori pugliesi, ma all’intero sistema vitivinicolo italiano perché questo caso potrebbe creare un precedente pericolosissimo per la tenuta del valore delle autoctonie. Trovo, poi, altrettanto grave il silenzio assordante della Regione Puglia se, come immagino, è stata informata per tempo di questo pernicioso provvedimento”.

Stessi toni, altrettanto accesi, da Mario Tripaldi (Assoenologi interregionale Puglia, Basilicata e Calabria) “Si tratta di un’azione fatta in sordina. La Sicilia ha inserito il primitivo nell’elenco dei vitigni autorizzati e punta al riconoscimento nella denominazione Igp Terre di Sicilia. Dobbiamo vigilare per escludere escamotage e glissare sugli attuali limiti. Occorre rivedere le strategie vitivinicole”. Insomma, un processo alle intenzioni.

“Giù le mani dal primitivo – dice il presidente del consorzio Doc Primitivo di Manduria Mauro Di Maggio –. È un vitigno identitario che traina tutto il sistema vitivinicolo e turistico della Puglia. Faremo tutto il possibile e ci appelleremo presso gli organi competenti per far annullare questa disposizione”.

“Questa azione della Regione Siciliana – per Nicola Insalata, presidente del consorzio Primitivo di Gioia del Colle -, mette a repentaglio anni di nostri sacrifici per valorizzare storia, cultura e tradizioni della Puglia. Ci auguriamo che la Regione Puglia metta in atto tutte le iniziative per bloccare questo decreto”. Dovrebbe esserci, a breve, una presa di posizione dei maggiori consorzi di vino pugliesi contro il decreto della Regione Siciliana.

Nella risposta all’interrogazione, Bellanova tuona “Mai consentirò che una bottiglia di vino siciliano Dop o Igp possa chiamarsi primitivo”, poi, smorzando i toni, “In Sicilia, come in altre regioni italiane non si può impedire, dopo necessaria sperimentazione, l’impianto di viti primitivo, ma i vini Dop e Igp ottenuti non potranno mai essere etichettati con l’indicazione in etichetta del vitigno. Nel DM del 13 agosto 2012 è infatti indicato senza equivoci come la varietà primitivo possa essere solo usata nell’etichetta di vini Dop o Igp della Puglia e delle regioni Basilicata, Campania, Abruzzo, Umbria, Lazio e Sardegna”.

Quindi, già la denominazione Dop e Igp, da una decina d’anni, può andare in etichetta in altre sei regioni; parola di ministro. Perché la Sicilia no? È più verosimile che la sperimentazione siciliana sia finalizzata ad assemblare nuovi blend; non è questo il momento di puntare su un nuovo prodotto, a fronte di altre etichette molto apprezzate e affermate nel mondo.

Il presidente Emiliano alla fine, cedendo alla piazza, ha dichiarato “Pur rispettando la legittima decisione dell’Amministrazione siciliana, desidero rassicurare tutti che il Governo regionale è vigile per far sì che le varietà vitivinicole autoctone e le denominazioni di origine pugliesi siano adeguatamente tutelate”.

Insomma, ministro e presidente regionale, con toni diversi, riconoscono la legittimità dell’operato dalle Regione Siciliana.

La sceneggiata messa su da Stefàno e operatori del comparto vitivinicolo pugliese, a questo punto, conquista un titolo shakespeariano Molto rumore per nulla.

L’autonomia della Sicilia non è messa in pericolo da una polemica tanto goffa e pretestuosa. Ma si può tollerare una classe politica, sin poco tempo fa omogeneizzata sotto il marchio PD, che perde tempo e fa perdere tempo sul nulla?

 

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